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La Svizzera e quel fiorente mercato di reperti archeologici trafugati

La Cabeza Clava, sequestrata nel 2016 a Basilea.
La Cabeza Clava, una scultura risalente a 2'500 anni fa, che è stata sequestrata nel 2016 al posto di frontiera fra Basilea e la tedesca Weil am Rhein. © Keystone / Georgios Kefalas

La Svizzera è un nodo nevralgico del traffico illegale d'arte grazie all'ingente numero di persone abbienti pronte ad acquistare tesori trafugati. Una legge federale c'è - dal 2003 - ma non basta a garantire la trasparenza del viaggio che fa un'opera d'arte dal furto alla casa di un collezionista. E per evitare che la compravendita di beni culturali si intrecci con il riciclaggio di denaro.

La Cabeza Clava è un’enorme scultura peruviana. Pesa 200 chili e risale a 2’500 anni fa. Nel 2016, un uomo provò a contrabbandarla in Svizzera sostenendo che non fosse un bene culturale, ma il personale della dogana decise di sequestrargli il pezzo. Lo scorso 8 febbraio, la direttrice dell’Ufficio federale della cultura Carine Bachmann ha restituito l’opera al Paese d’origine.

La restituzione del reperto Cabeza Clava all ambasciatore peruviano.
Febbraio 2023, la direttrice dell’Ufficio federale della cultura Carine Bachmann restituisce la Cabeza Clava, sequestrata nel 2016 alla frontiera di Basilea, all’ambasciatore peruviano Luis Alberto Castro Joo. © Keystone / Georgios Kefalas

Una storia a lieto fine, certamente, ma un caso relativamente raro. In Svizzera, infatti, da sempre transita una ingente mole di reperti archeologici, libri d’epoca, monete antiche, dipinti e sculture che non viene intercettata dai controlli alla frontiera. Si stima, d’altronde, che appena il 5% del traffico globale di beni culturali venga intercettato.

È un fiorente mercato transfrontaliero, che tradizionalmente unisce Svizzera e Italia. L’ultima vicenda è emersa nel luglio 2023, quando la Procura di Santa Maria Capua Vetere ha informato con un comunicato stampaCollegamento esterno di aver condotto una vasta operazione che ha portato al sequestro di migliaia di reperti archeologici provenienti da scavi clandestini in Campania, Basilicata e Puglia.

Un tesoretto stimato in tre milioni di euro che ha condotto nel settembre 2022 all’arrestoCollegamento esterno e al rinvio a giudizio dell’archeologo napoletano Mario Pagano, Soprintendente Archeologia Belle Arti e Paesaggio delle provincie di Caserta e Benevento. L’archeologo è stato poi scarceratoCollegamento esterno, il processo è in corso. Il caso, che è stato ripreso dal quotidiano svizzero di lingua tedesca Neue Zürcher ZeitungCollegamento esterno (NZZ), riguarda anche la Confederazione. Nell’ambito della complessa vicenda, una persona è stata arrestata mentre cercava di entrare in Svizzera con una quantità ingente di monete provenienti dall’area archeologica di CalesCollegamento esterno, in provincia di Caserta. Racconta la NZZ che grazie all’analisi del telefono della persona colta in flagranza di reato, si è potuto risalire fino a una casa d’aste di Zurigo, destinataria di parte delle antiche monete sequestrate.

Restituzione di anfore antiche nel 2010.
Maggio 2010, il direttore dell’Ufficio federale della cultura Jean-Frederic Jauslin restituisce resti di antiche anfore al generale dei carabinieri Giovanni Nistri. Keystone / Karl Mathis

Un bilancio a vent’anni dalla nuova legge federale

Com’è possibile che beni trafugati possano arrivare nelle case d’asta elvetiche, essere battuti e acquistati a prezzi esorbitanti senza che le dogane, la polizia o la magistratura li intercettino? Per di più, dal 2003 c’è un’apposita legge federaleCollegamento esterno, grazie alla quale la Confederazione ha ratificato – con 30 anni di ritardo – la Convenzione UNESCO che dal 1970 vieta l’importazione e l’esportazione illegale di beni culturali. Ci sono voluti dieci anni a scrivere la legge svizzera, un processo che ha patito la pressione dalle lobby interessate ad impedire trasparenza e legalità. Lo conferma Andrea Raschèr, il giurista che ha elaborato un testo di cui si ritiene la mamma e non il papà “perché la gestazione è stata lunga e complessa”.

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Raschèr, specializzato in diritto dell’arte, alla fine degli anni Novanta era di casa all’Ufficio federale della cultura e portò avanti con passione l’incarico che gli era stato affidato dalla consigliera federale Ruth Dreifuss: redigere le norme per impedire che la Svizzera continuasse ad essere un crocevia per il traffico illegale di beni culturali. Mai avrebbe immaginato il giurista di “ricevere ogni settimana, dai più importanti uffici di avvocati, corpose prese di posizione sul testo che stavo scrivendo, che alla fine arrivarono a diverse migliaia di pagine”. Racconta Raschèr che ci vollero ben dieci anni per finalizzare la legge.

Quadro prezioso sequestrato nel 2015 a Lugano.
Una veduta di Roma di Giovanni Paolo Pannini (1691-1765), sequestrato nel 2015 a Lugano. Valore stimato: 1,5 milioni di franchi. RSI/M.Angeli

Per comprendere il ruolo cruciale della Svizzera, è necessario fare un passo indietro e ricostruire la lunga catena che porta un pezzo antico dal suo luogo d’origine alle mani dei collezionisti. Alla base della piramide ci sono tombaroli e ricettatori, seguiti da intermediari, restauratori, trasportatori ed esperti che redigono i certificati d’origine. In cima ci sono curatori di musei, case d’asta e collezionisti.

Passione per l’arte, e molto denaro

All’origine della catena c’è un furto o uno scavo illegale: in Italia è opera dei “tombaroli”, persone non laureate in arte antica ma esperte nella materiaCollegamento esterno, che lavorano con gli strumenti tipici del mestiere. Anzitutto lo “spillone” per sondare il terreno, poi metal detector, pale, picconi e talvolta macchinari pesanti. L’ora prescelta è l’alba o il tramonto, ha raccontato la trasmissione Rai “Chiamata d’emergenza”Collegamento esterno, seguendo i cosiddetti Carabinieri dell’arte, il Comando per la Tutela del Patrimonio CulturaleCollegamento esterno, nell’intervento che ha portato all’arresto di un gruppo di tombaroli.

Il capo della Procura di Trani, Renato Nitti, ha descritto la profonda conoscenza dei reperti per i quali i tombaroli provano una passione smodata, spesso ereditata dai padri se non dai nonni, tanto che la maggior parte “sarebbe un’eccellente guida archeologicaCollegamento esterno“. La conoscenza dei luoghi ricchi di tesori è custodita come un segreto di famiglia. Un mestiere antico seppur illegale, cui la regista italiana Alice Rohrwacher ha dedicato il suo ultimo film, “La ChimeraCollegamento esterno” dove racconta la storia di un tombarolo che sbarca il lunario trafugando reperti etruschi.

Il caveau dei Carabinieri dell arte, fotografato nel 2015.
Reperti archeologici e arte sacra, qui fotografati nel 2015 in un caveau dei “Carabinieri dell’arte”. RSI/M.Angeli

Il tombarolo consegna il bottino a persone esperte, che provvedono a restaurarlo e dotarlo dei certificati contraffatti necessari alla circolazione del bene: con il documento falsificato, l’opera d’arte può viaggiare e raggiungere la destinazione finale – spesso passando per la Svizzera. In particolare, si ritrova ad attraversare il porto di Basilea, Zurigo e Lugano. Ma sono i “Porti franchi” di Ginevra il luogo chiave.

I Porti franchi a Ginevra.
Un’immagine del 2020 dei Porti franchi di Ginevra. Keystone / Salvatore Di Nolfi

E se al tombarolo restano in tasca cifre modeste, il resto della catena dell’illegalità segna profitti a molti zeri, come racconta il giurista Andrea Raschèr facendo il bilancio di vent’anni dell’entrata in vigore della legge federale.

Margini di miglioramento

“Nei primi dieci anni, l’applicazione della nuova norma è stata limitata. In seguito, la legge ha cominciato a funzionare e sono iniziate le periodiche restituzioni dei beni culturali illecitamente trafugati e importati da Italia, Turchia, Siria ed Egitto”. In vent’anni, precisa l’Ufficio federale della cultura, si è trattato di “6’780 oggetti”Collegamento esterno.

Testa di donna, restituita dalla Svizzera alla Cirenaica nel dicembre del 2023. 
Testa di donna, restituita dalla Svizzera alla Cirenaica nel dicembre del 2023. admin.ch

Volendo migliorare l’efficacia della legge, continua Raschèr: “si potrebbe partire da un aumento del personale delle dogane, e da più ispezioni – soprattutto nei porti franchi, soprattutto a Ginevra. Come tutti sanno, si tratta di magazzini in cui vengono conservati vini pregiati e patrimoni legittimi, ma anche beni culturali – non tutti legalmente detenuti. In questi porti franchi – che io chiamo ‘la Caverna di Ali Babà’ – ci sono ancora oggi solo controlli a campione. Non basta, se si vuole davvero contrastare il traffico delle opere d’arte”.

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Secondo il giurista, bisognerebbe intervenire anche su chi acquista: “La legge impone al mercante d’arte di conservare per 30 anni i dati della persona che vende il bene culturale al mercante con la descrizione degli oggetti, e questo è un bene. Perché l’azione di controllo sia efficace, però, anche l’acquirente dovrebbe tenere un analogo registro. Volevamo inserire questa norma nel testo originario, ma UDC e Liberali si sono opposti”.  

Resta la domanda più complessa e delicata: cosa rende la Svizzera tanto appetibile per il mercato illegale dell’arte? Risponde Raschèr: “Il problema è che il commercio dei beni culturali non è regolamentato dalle regole sul riciclaggio. Significa che il mercante d’arte non è considerato un intermediario finanziario, e può sempre scaricare la responsabilità sulla banca”. Inoltre, il bene culturale ha un prezzo molto variabile che viene fissato con grandi margini di discrezionalità, può quindi essere molto alto e diventare un’occasione d’oro per riciclare denaro. L’esperto sottolinea: “La lobby dei collezionisti svizzeri è molto influente, sono tra le persone più ricche del Paese. Questo commercio, per quanto importante, non è un pilastro dell’economia – eppure è molto ben protetto”. E anche le pene per la violazione della legge federale, in definitiva, sono piuttosto miti.



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