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L’Umbria leghista torna indietro sull’aborto

donna manifesta con un cartello con la scritta finché non saremo libere
Molte associazioni sono insorte contro la decisione della giunta regionale umbra. tvsvizzera.it

Insorgono le piazze umbre per la decisione della Lega di ritoccare la normativa regionale che disciplina l’aborto farmacologico sebbene si tratti di un provvedimento annunciato in difesa della salute delle donne.

Mentre le polemiche scoppiate in Lombardia per la gestione del Covid sono ancora calde si apre un nuovo fronte di scontro politico in Umbria dove la giunta regionale guidata dalla leghista Donatella Tesei ha vietato la somministrazione della pillola abortiva RU486 in regime di ricovero diurno o per via ambulatoriale – modalità che comportano poche ore di permanenza in una struttura sanitaria – volendo reintrodurre come accadeva in precedenza il ricovero obbligatorio della durata minima di tre giorni.

Sebbene la Lega giustifichi la scelta come una precauzione per la tutela della salute delle donne che decidono di abortire, molte associazioni femminili insorgono. considerando il provvedimento un chiaro intralcio alla libertà di scelta delle donne in un contesto regionale in cui i servizi per l’aborto farmacologico sono già carenti. In Umbria l’utilizzo della pillola RU486 riguarda solo il 5% delle interruzioni di gravidanza contro una media nazionale del 18% e contro il 95% della Svezia. 

In Umbria da giorni si susseguono manifestazioni di piazza che uniscono associazioni, ma anche medici e personale sanitario. L’agitazione ha chiamato in causa il Ministro della sanità Roberto Speranza che dopo qualche esitazione ha chiesto di rivedere la legislazione su cui poggiano le modifiche e ha chiesto inoltre un parere dell’Istituto superiore di Sanità.

Nel servizio, Veronica (nome di fantasia) da poco maggiorenne ci racconta l’esperienza dell’interruzione di gravidanza in segreto dai genitori, decisione che non sarebbe stata possibile con il ricovero obbligatorio di tre giorni disposto dalle nuove regole. Marina Toschi, ginecologa, attivista, scende in piazza alla manifestazione di fronte al palazzo della Regione Umbria per denunciare le già carenti possibilità che si prospettano alle donne che decidono di interrompere la gravidanza. Mentre il senatore della Lega Simone Pillon difende la scelta della giunta regionale umbra.

Quello umbro non è il primo caso in cui dell’indipendenza regionale in materia di Sanità viene fatto un uso politico e la questione ha origini lontane.

Le modifiche alla legge 194 del 1978 che introducevano la regolamentazione dell’aborto medico risalgono al Governo di centrodestra guidato da Berlusconi nel 2010. Tuttavia, alle Regioni venne lasciata la facoltà di disporre in modo autonomo e per cinque su venti, tra cui l’Umbria, è stata l’occasione di rinnovarsi offrendo la possibilità di accedere all’aborto medico in regime di ricovero diurno come accade in molti altri Paesi e come raccomandato da molta della moderna letteratura scientifica. In Umbria, però, questa apertura, una conquista dal punto di vista di molte donne, venne concessa con otto anni di ritardo rispetto alle modifiche del Governo centrale, nell’ultimo atto amministrativo della precedente giunta regionale di centrosinistra guidata a quel tempo da un’altra donna, Catiuscia Marini del Partito Democratico. Indice di un contesto poco incline a riformare la disciplina dell’aborto in tutto l’arco parlamentare.

L’attuale presidente leghista dell’Umbria, Donatella Tesei, riporta nuovamente indietro le lancette dell’orologio facendo però scendere nelle piazze molte persone che avevano giovato di un piccolo passo in avanti riguardo le possibilità di scelta da parte delle donne che si trovano ad affrontare una interruzione volontaria di gravidanza. Una conquista sfumata dopo soli due anni nell’ennesima altalena politica.

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