In Svizzera aumentano i radicalismi di sinistra e di destra
Presentato martedì a Berna il secondo piano nazionale per prevenire e combattere l'estremismo violento.
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tvsvizzera.it/mrj
Il primo piano nazionale svizzero per prevenire l’estremismo violento era nato nel 2017, quando il terrorismo jihadista era considerato una delle maggiori emergenze in Europa. Da allora molte cose sono cambiate. Anche se la radicalizzazione jihadista rimane una minaccia, ha spiegato ai microfoni della Radiotelevisione della Svizzera italiana (RSI) il delegato di Rete integrata Svizzera per la sicurezza Martin Von Muralt, oggi “ci sono altre minacce altrettanto importanti, come l’estremismo di sinistra, quello di destra e quello cosiddetto monotematico”. Ovvero, gruppi che rifiutano lo stato di diritto e alcuni fondamenti della democrazia. “Possiamo immaginare che se un domani lo Stato dovesse implementare misure in caso di penuria di energia elettrica, ci potrebbero essere reazioni negative molto simili a quelle che abbiamo visto durante la pandemia”. Esperte ed esperti si concentrano quindi su più fronti, nell’ambito del secondo piano nazionale di prevenzione, finanziato fino al 2027.
A preoccupare in modo particolare è l’età sempre più bassa dei soggetti radicalizzati. La ragione? “È difficile capire esattamente il perché. I giovani sono molto presenti sui social e in questo tipo di media si trovano messaggi brevi, messaggi binari, che tendono a polarizzare e a veicolare un pensiero radicale”, aggiunge Von Muralt.
Ci sono però alcuni segnali che possono essere colti in anticipo. Tra questi il fatto di “sentirsi sempre una vittima, essere vicini alle teorie del complotto o ancora parlare male di altri gruppi”, spiega la Segretaria generale della Conferenza delle direttrici e dei direttori cantonali delle opere sociali Gaby Szöllösy.
Un soggetto radicalizzato è molto difficile da recuperare completamente. Si punta quindi sulla prevenzione, nelle scuole e altrove, aiutando ragazze e ragazzi a sviluppare competenze come “la riflessione critica e la capacità di raccontare narrative diverse”, conclude Szöllösy.
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