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Il divieto di riesportazione delle armi preoccupa l’industria svizzera

Fabbrica della Ruag.
Fabbrica della Ruag. © Keystone / Peter Klaunzer

Il vincolo posto nei contratti di vendita, che impedisce – conformemente al principio di neutralità - la fornitura di armamenti prodotti in Svizzera a Paesi terzi coinvolti in conflitti, sta creando difficoltà all'industria bellica.

Alcune imprese del ramo, secondo quanto ha rivelato l’associazione dell’industria metalmeccanica Swissmem, sono state costrette a delocalizzare parte della produzione oltre confine. Ma preoccupano anche i segnali provenienti proprio dall’estero, dove si riscontra un minore interesse per i prodotti elvetici a causa delle restrizioni legali alla loro successiva rivendita.

Richieste di riesportazione all’Ucraina negate da Berna

Sono noti i recenti episodi emersi durante il conflitto ucraino, che hanno visto la Segreteria di Stato dell’economia rigettare sistematicamente le richieste di riesportare a Kiev il materiale bellico fabbricato nella Confederazione presentate da Germania, Danimarca e Spagna.

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“L’industria svizzera d’armamento è profondamente preoccupata – sostiene Matthias Zoller, segretario generale del settore aeronautica, sicurezza e difesa di Swissmem -. Già oggi, alcune ditte vengono sistematicamente escluse dagli appalti d’armamento esteri. Tutto ciò minaccia l’esistenza della nostra industria”.

Il mercato svizzero, continua Zoller, non basta per sopravvivere: “Solo quelle ditte che possono contare su capacità di produzione all’estero o che riescono a crearla in tempi brevi, hanno la possibilità di ottenere incarichi”.

Ad essere intaccate sono però anche la fiducia e l’affidabilità nell’industria bellica svizzera. Anche quando si parla dei cosiddetti affari di compensazione. “Nessun produttore d’armamento estero ha il minimo interesse a far produrre delle componenti importanti in Svizzera, se poi queste non possono essere esportate”, rileva l’esponente dell’industria metalmeccanica.

Segnali poco rassicuranti arrivano anche dai Paesi NATO. Paesi ufficialmente non ancora in guerra, ma che guardano con qualche perplessità al comportamento della Confederazione. “Se dovesse subentrare il dovere di alleanza, tutti i Paesi dell’Alleanza atlantica sarebbero parte belligerante e noi non potremmo più fornire loro delle armi. In un colpo solo andrebbero persi tutti i mercati di vendita. Non sarebbe solo la fine per l’industria d’armamento svizzera, ma anche un pericolo diretto per il nostro Paese”, conclude Zoller.

Norme più restrittive

Va aggiunto che su questa questione, nel maggio dello scorso anno sono entrate in vigore in Svizzera norme più restrittive all’esportazione di armi, contenute nel controprogetto parlamentare all’iniziativa popolare “contro l’esportazione di armi in Paesi teatro di guerre civili” (che è stato ritirato dagli iniziativisti).

La proposta adottata dalle Camere estende il divieto di vendita di armi a Paesi coinvolti in guerra civile, anche alle esportazioni verso gli Stati che violano “gravemente e sistematicamente” i diritti umani. Il parlamento ha voluto anche eliminare la possibilità, concessa all’Esecutivo in circostanze eccezionali, di derogare a queste regole per salvaguardare gli interessi di politica estera o di sicurezza nazionale.

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