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A un passo da un’intesa storica sul fisco delle multinazionali

Il tavolo del G7 a Londra
Keystone / Andy Rain

I ministri delle finanze del G7 riuniti a Londra sono a un passo dall'accordo di principio sulla riforma della fiscalità internazionale anche se permangono divergenze sul campo d'applicazione di un tasso minimo d'imposta sulle società.

“Siamo a un millimetro da un’intesa storica”, ha dichiarato ai media il ministro dell’economia francese Brune Le Maire al termine del primo round negoziale sulla proposta statunitense di una soglia minima del 15%.

Le sette potenze economiche stanno cercando da anni di accordarsi su una vasta riforma fiscale per combattere le pratiche elusive delle grandi multinazionali, in particolare dei giganti del web, che tendono a dichiarare i loro profitti nei paesi a tassazione agevolata al posto di quelli in cui svolgono concretamente le loro attività.

Ma finora gli sforzi avanzati nel quadro dell’organizzazione della cooperazione e dello sviluppo (Ocse) si sono infranti contro il muro eretto dall’ex presidente USA Donald Trump. Al contrario il suo successore sta andando in direzione opposta, sollecitando un’intesa in questo settore.

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Del resto la necessità comune di rimettere in sesto le finanze pubbliche, messe in crisi dalle ripercussioni della pandemia, aumenta le possibilità di trovare il consenso su questa delicata questione. “Non possiamo continuare a dipendere da un sistema fiscale creato in buona parte negli anni Venti (…) e il mondo intero se n’è ormai reso conto”, ha ricordato il ministro britannico Rishi Sunak in apertura di dibattito. Interventi analoghi in favore di un compromesso sono stati fatti dai rappresentanti delle finanze di Germania, Italia, Spagna e Francia.

Se i sette riusciranno, come sembra, a raggiungere un accordo – verosimilmente nel fine settimane a Carbis Bay in Cornovaglia dove si sposterà il vertice -, il testo definitivo potrebbe essere sottoposto al prossimo G20 di Venezia in luglio.

Nel recente passato Parigi, Madrid, Londra e Roma avevano già provveduto a tassare unilateralmente i proventi dei giganti del web, subendo la ritorsione di Trump che aveva applicato dazi doganali sulle merci europee.

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