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Lo scopo dei 608 nel governo di scopo

Lunga vita all'esecutivo Gentiloni ANSA

"A Mosca, a Mosca" annunciavano gioiose le tre sorelle di Anton Chekov. "Al voto, al voto" è oggi l'allegra invocazione delle forze politiche italiane dopo il terremoto del 4 dicembre, che ha sfasciato la prima esperienza governativa di Matteo Renzi. Tutti convinti che il ricorso anticipato alle urne sia il toccasana di tutti i loro problemi, e di quelli del Paese. Almeno ufficialmente.

In realtà, sottotraccia le cose non stanno proprio così. Non tutti sono pronti a sfidare le incognite di una votazione, anche nella composita coalizione che al referendum ha stravinto. Si comincia in realtà a speculare sulla durata del governo Gentiloni: poche settimane, pochi mesi, o magari più di un anno?

Sono due le ragioni per cui la morte della legislatura potrebbe essere più lenta di quanto preannunciato coralmente nelle ore successive all’esito di quel voto. Una ragione si chiama, ancora una volta, Silvio Berlusconi. Spera di tornre al centro della scena, ma di andare a elezioni anticipate non sembra averne una voglia irresistibile. Un po’ perché nel fronte del centro-destra (dove dovrebbe allearsi con i leader “lepenisti” Salvini e Meloni) per lui il momento non è dei migliori: gli altri vogliono le primarie che lui, l’ex cav., ha sempre detestato, escluso e temuto. E poi, beh c’è l’antico problema di un conflitto di interesse che torna vistosamente a galla. I francesi di Vivendi cercano di dare la scalata a Mediaset, e il governo Gentiloni ha già fatto la voce grossa per difendere quella che considera un’azienda strategica per il Paese. Per quali precisi motivi non si capisce, visto che si tratta di libero mercato, e il libero mercato non esclude nemmeno le “OPA ostili”. Ma si tratta di miele per le orecchie del leader di Forza Italia, che ha bisogno di alzare le barricate contro l’assalto del gruppo transalpino di Vincent Bolloré. Quindi, affari di famiglia “first”. Come già accaduto in passato. Perché allora sacrificare un governo preventivamente amico come quello del premuroso e gentil Gentiloni? Nulla di scandaloso, in definitiva: perfino d’Alema nel l998 entrò nel palazzo di Mediaset e se ne uscì con la celebre battuta “Mediaset patrimonio della nazione”. Chiaro?

E poi… e poi ci sono quei 608 parlamentari – fra Camera e Senato – a cui un voto anticipato (meglio: un voto troppo anticipato) toglierebbe la pensione. Sono oltre la metà dei rappresentanti del popolo. E se il presidente Mattarella (ma si sa che ha meno fretta di tutti) dovesse sciogliere le Camere prima di quella data, i 608 perderebbero l’assegno. In effetti, sottostanno alla norma varata dal governo Monti 4 anni fa: i parlamentari al primo mandato devono restare in carica almeno “quattro anni, sei mesi, e un giorno” per avere diritto a una quiescenza addolcita dalla pensione del parlamento. Tra questi ci sono tutti gli esponenti del Movimento Cinque Stelle, e 209 esponenti del Partito Democratico.

Nessuno di loro lo ammetterà, nemmeno sotto tortura. Ma molti di loro sono tentati di far galleggiare questo esecutivo transitorio (“di scopo”, per dirlo con eleganza) almeno fino al prossimo ottobre. O comunque sono poco disposti a qualche sgambetto che mandi all’aria Gentiloni. Nemmeno se a ordinarlo fossero i leader dei rispettivi partiti. Stavolta, la disinteressata sincerità di uno come Roberto Calderoli (lui, parlamentare di lungo corso, non rischia nulla) non ha bisogno di essere provata: “Io le chiacchiere fra i colleghi le sento in buvette: e nessuno, dico nessuno, ha voglia di lasciare la seggiola prima della metà settembre del prossimo anno: volete forse che in nome della coerenza politica la gran parte di questi signori rinunci così facilmente alla pensione di parlamentare?”.

Ma nelle trascorse legislature avete per caso sentito un solo parlamentare italiano affermare di aver paura delle urne? Quando mai! E guai a parlar di ipocrisia.

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