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Expo yafà

EXPO Milano 2015 iStock

Tutto sommato i punti positivi dell'esposizione universale superano quelli negativi, questo il sunto della tre giorni dei nostri inviati

Ebbene sì, la tre giorni di Bibì e Bibò ad Expó alla fine ha portato ad una valutazione positiva. I ritardi ci sono, i padiglioni chiusi o aperti a metà pure, qualche disservizio anche. In fondo siamo in Italia.

Ma nel complesso, dal punto di vista del visitatore, sono tutte cose sulle quali si può sorvolare.

Una giornata ad Expo è gradevole, costruttiva e interessante.

E questo soprattutto proprio grazie al fatto che siamo in Italia.

Quello che colpisce, dell’esposizione universale, è il clima disteso, i visi sorridenti, il fatto di poter “attaccar bottone” con due carabinieri mentre si piglia un caffé, o scherzare con una hostess mentre si compra la cartina. O ridere con degli studenti dodicenni mentre si assaggia la frittella di mele russa.

Magari non è tutto chiarissimo, magari manca qualche informazione qua e là, magari si poteva far meglio, ma alla fine il fattore umano è decisivo.

E questo non vale solo per gli italiani. Forse perché contagiati, forse per l’entusiasmo iniziale, ma tutti gli addetti dei vari padiglioni sono di una disponibilità e simpatia fuori dal comune (su tutti i thailandesi, che ti guardano come se fossi la cosa più bella mai incontrata della loro vita).

Questa è l’expo degli schermi e dei video: ce ne sono letteralmente migliaia. Certi padiglioni ospitano più schermi che persone. Ma a fare la differenza, dal lato comunicativo, sono loro, gli addetti, o come li si vuol chiamare: hostess, steward, quel che è. Puoi guardare diecimila video, ma se una cosa te la spiega uno guardandoti in faccia è meglio, punto.

Il messaggio

Al di là della valutazione complessiva, i dubbi possono riguardare il messaggio. “Nutrire il pianeta”, voleva essere un titolo volto a sensibilizzare sulla necessità di condividere le risorse, favorire la biodiversità, razionalizzare l’uso di energia. Passa questo messaggio?

Insomma… il messaggio passa se si è sensibili al tema. Ci sono sì una manciata di padiglioni che hanno fatto bene il lavoro: Emirati Arabi, Germania, Svizzera, Giappone su tutti.

La maggior parte degli altri invece si limita a un compitino iniziale per poi dedicarsi alla promozione turistica e ad attirare clienti nello shop e nel ristorante.

In questo senso forse un maggior controllo sui progetti e una maggiore severità avrebbero senza dubbio giovato all’esposizione. D’altro canto nella maggior parte dei casi l’aspetto turistico-promozionale è anche interessante poiché comunque porta a conoscere meglio determinati paesi.

La pubblicità

Un altro aspetto su cui si era discusso molto riguardava la presenza, fra gli sponsor, di aziende che dal punto di vista ecologico e di una nutrizione equilibrata e consapevole non sono ritenuti essere proprio dei campionissimi.

In effetti i padiglioni di McDonalds (poco più di un normale ristorante) Coca Cola, Nestlé (peraltro molto bello) e via dicendo, stonano. Ma non sono particolarmente invasivi, nel compresso dell’Expo, anche perché non occupano posizioni di particolare pregio.

Si poteva far meglio?

Eccerto. La principale critica, dal mio punto di vista, è la mancanza di coordinazione progettuale. Un tema così indovinato, specie in Italia, meritava di essere valorizzato maggiormente.

L’impressione è che ci si sia invece limitati a dire ai paesi partecipanti “il tema è questo, vedete voi”. Un maggiore controllo, e magari anche l’assegnazione di sotto-temi avrebbero notevolmente, migliorato l’esposizione che da un lato sottovaluta alcune tematiche (ad esempio, per rapporto all’importanza del problema, di fame si parla molto poco, così come dell’importanza della disponibilità di acqua per tutti), mentre dall’altro, determinati messaggi finiscono con l’essere ripetitivi (la questione della difesa della bio diversità, senz’altro importantissima, è sviluppata in numerosissimi padiglioni).

Inoltre l’organizzazione, o l’ONU stessa, avrebbero forse potuto essere maggiormente presenti nello sviluppo del tema.

Apprezzabile il fatto che siano presenti delle fontanelle dove riempire le proprie borracce con acqua (anche gasata), ma non si capisce perché (o meglio lo si capisce fin troppo bene) esse non siano sul vialone principale, il Decumano, ma defilate nelle vie laterali e difficilmente reperibili.

Inoltre perché non fare altrettanto col cibo? Offrendo -ad esempio- una ciotola di riso bollito a tutti si sarebbe fatto un bel gesto e al contempo sensibilizzato sulla situazione alimentare di gran parte della popolazione del pianeta per cui il riso bollito (o alimenti equivalenti) sono l’unico pasto quotidiano.

Anzi, ripensandoci, visto che Expo è a Milano avrebbe potuto andar benissimo anche della semplice polenta scondita.

Cosa resterà

L’ultima critica, che è anche quella che si sente evocare più spesso ora che l’esposizione è partita e che comunque il pubblico sembra frequentarla, riguarda il fatto che “non resterà nulla” perché i padiglioni verranno smantellati.

Premesso che il sito andrà tenuto d’occhio negli anni prossimi per evitare che finisca in completo degrado, vedere la questione solo da un punto di vista meramente materiale equivale a sottovalutarla.

Ovviamente tutte le opinioni vanno rispettate, ma dire che non resterà nulla perché i padiglioni verranno smantellati è sbagliato e miope.

Come se la conoscenza non fosse una cosa che resta.

Il fatto di aver l’occasione di parlare con un kazako, piuttosto che una slovena, il fatto di prender coscienza di determinate realtà, è qualcosa che resta nelle persone.

Poi ognuno può dare a questa cosa il valore che vuole, e in base ad esso dare il proprio giudizio su Expo. Ma un valore, piccolo o grande che sia, la conoscenza che Expo porta ce l’ha.

Gino Ceschina

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Bibi e Bibo all’Expo rsi

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