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Uccise a coltellate un bimbo, 76enne alla sbarra a Basilea

candele e fiori su un marciapiede
Il delitto aveva suscitato sconcerto in tutto il Paese. Keystone

È iniziato lunedì a Basilea il processo nei confronti di un'anziana che nel marzo 2019 accoltellò a morte un bambino di sette anni che stava rientrando da scuola.

L’aggressione è avvenuta il 21 marzo verso le 12.45 a poche centinaia di metri di distanza dalla scuola, sul St. Galler-Ring, nel quartiere Gotthelf. Lo scolaro stava rientrando a casa ed era solo sul marciapiede quando è stato accoltellato e gravemente ferito alla gola. La sua insegnante, che stava pure rientrando in bicicletta dopo le lezioni, lo ha trovato a terra e ha immediatamente avvertito i soccorsi. Il bambino è stato sottoposto ha un intervento chirurgico d’emergenza, ma è morto. Poco dopo i fatti l’anziana si è presentata in procura e ha confessato il delitto. La donna non conosceva il bambino.

Incapace di intendere

Secondo l’atto d’accusa, nel quale si chiede l’internamento della donna, l’imputata soffre di disturbo delirante in forma grave e cronica, in particolare di querulomania (o paranoia querulante). Il soggetto si sente continuamente vittima di soprusi ed ingiustizie e pertanto ricorre ripetutamente a varie autorità per ottenere giustizia, spesso con rivendicazioni infondate.

In base a tre perizie, il disturbo si è sviluppato progressivamente dal 1977. Per oltre 42 anni la donna ha scritto lettere sempre più numerose e virulente a diverse autorità. Le sue missive riempirebbero almeno dieci scatole di banane. La situazione si aggravata nel 1992 con lo sfratto forzato dall’appartamento di Allschwil (Basilea Campagna) dove viveva con il suo compagno, morto nel 1999, e con la conseguente serie di controversie di diritto civile che l’hanno vista coinvolta.

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Minacce sempre più frequenti

Dal 2002 in poi, le lettere della donna facevano spesso riferimento all’assassinio. Dal 2016 sono diventate più frequenti le minacce di un non specificato atto di violenza che ci si poteva aspettare in qualsiasi momento se le sue richieste non fossero state soddisfatte e i suoi beni non le fossero stati restituiti. Nell’ultima lettera al Tribunale federale – del 15 marzo 2019, sei giorni prima del delitto – l’anziana scriveva che la Corte suprema voleva che l’atto di violenza richiesto fosse soddisfatto e comprovato.

Oggi in aula la donna ha ammesso l’uccisione, ma non ha potuto dire perché proprio un bambino dovesse morire. Parlando delle sue decennali controversie con le autorità ha affermato che queste ultime “avrebbero dovuto smettere di darci fastidio e sedersi con noi” per discutere e risolvere il problema.

Ha poi aggiunto che darebbe qualsiasi cosa per poter annullare ciò che ha fatto. E che non ha mai pensato di essere capace di un atto del genere. Era “disperata, sull’orlo di un abisso” e ha agito nella foga del momento. Sono state le autorità a portarla a questo punto, che l’hanno trattata come “selvaggina indifesa”. “Me ne pento ogni giorno. Mi dispiace per la famiglia”, ha concluso. I dibattimenti dureranno tre giorni. L’accusa chiede l’internamento dell’imputata.

tvsvizzera.it/mar/ats con RSI (TG del 10.8.2020)

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