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Contributo di Berna all’UE destinato anche all’immigrazione

Il responsabile degli Esteri e presidente della Confederazione Ignazio Cassis.
Il responsabile degli Esteri e presidente della Confederazione Ignazio Cassis. Keystone / Anthony Anex

Il versamento di 1,3 miliardi di franchi a Bruxelles, approvato recentemente dalle Camere federali, non sarà destinato solo all'integrazione dei Paesi dell'Est.

Come contropartita alla partecipazione al mercato unico la Confederazione ha versato, a due riprese, un contributo – il cosiddetto miliardo di coesione – in favore dell’integrazione dei Paesi dell’Est entrati nel 2004 nell’Unione Europea (il secondo stanziamento è stato sbloccato in autunno dalle Camere federali).

Una sovvenzione cui Berna non è formalmente tenuta dal momento che non ha sottoscritto impegni in tal senso, ma che viene di fatto espressamente richiesta da Bruxelles. Soprattutto ora che i rapporti bilaterali non sono del tutto idilliaci, dopo che il governo elvetico nel maggio scorso ha rinunciato a firmare l’Accordo istituzionale negoziato con la Commissione Europea, che avrebbe dovuto ottimizzare il quadro giuridico delle intense relazioni tra Confederazione e UE. Una decisione che ha raffreddato i rapporti bilaterali.

Questo finanziamento, pari a 1,3 miliardi di franchi e spalmato su un decennio, è indirizzato a progetti di sviluppo destinati a tredici Paesi dell’Est, allo scopo di ridurre le disparità economiche e sociali all’interno dell’Unione. Ma una quota viene riservata anche agli Stati confrontati con rilevanti ondate migratorie.  

Duecento milioni per le politiche migratorie UE

Il protocollo di intesa per l’utilizzo di questo secondo miliardo è attualmente all’esame dei Ventisette, nell’ambito della consueta procedura di ratifica. In proposito la Radiotelevisione svizzera RSI, che ha visionato il testo del documento, ha precisato alcuni dettagli in merito. Un miliardo e cento milioni andranno ai Paesi dell’ex blocco sovietico, in particolare per progetti nell’ambito della formazione professionale e della ricerca e sviluppo (in merito è previsto il coinvolgimento di enti e società elvetiche).

I rimanenti duecento milioni sono invece rivolti agli Stati confrontati con il fenomeno dell’immigrazione. L’aspetto rilevante di questa seconda opzione, anche dal profilo politico, è che i fondi potranno essere utilizzati – a precise condizioni – da tutti gli Stati membri, quindi anche quelli finanziariamente forti.

Va rammentato comunque che l’iter per l’approvazione di questo secondo contributo elvetico – che per la Commissione UE è “la contropartita logica e naturale della partecipazione al più grande mercato unico del mondo” – è stato piuttosto travagliato.

Svizzera trattata come Paese terzo

Le Camere federali avevano dato il via libera nel dicembre 2019 al fondo di coesione europeo a condizione che l’UE non adottasse misure discriminatorie contro la Confederazione, come nel caso della mancata equivalenza della Borsa svizzera o dell’esclusione degli istituti di ricerca svizzeri al programma Horizon Europe. L’obiettivo non dichiarato dell’Ue era quello di tergiversare per accelerare la finalizzazione dell’accordo istituzionale tra Berna e Bruxelles, poi naufragato.

Da parte di Berna c’è la convinzione che per migliorare i rapporti bilaterali, la Confederazione debba mostrare di essere un partner affidabile che intende contribuire in modo costruttivo al buon funzionamento di questo partenariato.

Il recente sblocco in parlamento del miliardo di coesione deve consentire, nelle intenzioni del governo federale, di fare passi avanti con l’UE in altri dossier sensibili, come quello sull’elettricità o della partecipazione elvetica a Horizon 2020. A tale riguardo la Svizzera è infatti trattata attualmente come un semplice Stato terzo.

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