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“Moka Noir”, la fine dell’industria casalinga a Omegna

fontana con moka gigante
Pubblicità della Bialetti a Milano. [Errata Corrige: in precedenza avevamo indicato erroneamente che si trattava di una foto di Omegna, ci scusiamo per l'errore] Venturafilm

Alle Giornate cinematografiche di Soletta, è stato presentato "Moka Noir", il nuovo documentario del regista ticinese Erik Bernasconi. Un’indagine, ironicamente condotta in stile poliziesco, sulla scomparsa del polo industriale del casalingo di Omegna, cittadina piemontese, non lontana dal confine svizzero, un tempo assai prospera. Abbiamo intervistato Matteo Severgnini, giornalista e scrittore omegnese, che ha lavorato in qualità di autore insieme a Erik Bernasconi.

Tvsvizzera.it: Perché raccontare la realtà industriale di Omegna?

Matteo Severgnini: Nella mia vita professionale io scrivo storie e, a un certo punto, ho sentito il bisogno di narrare ciò che stava accadendo alla mia città. Avevo una storia in casa, insomma. Vedevo e vedo tuttora molta gente tirar sera per le vie di Omegna, e non parlo solo dei pensionati e degli umarell, i vecchietti che osservano i lavori nei cantieri, ma anche di giovani e persone in età da lavoro, e ho cominciato a interrogarmi su questo fenomeno da imputare, ovviamente, alla crisi industriale, alla chiusura delle fabbriche del settore casalingo che hanno fatto la storia di Omegna e dell’Italia intera.

Il trailer del film:


Come la Bialetti …

Qualche anno fa ho raccontato la vita di Alfonso Bialetti e la sua invenzione in un audiodocumentario Rsi intitolato L’invenzione della moka. Credo che l’invenzione della moka non abbia modificato soltanto il modo di fare il caffè, ma abbia anche influenzato nel profondo la socialità degli italiani.

La moka è stata inventata nel 1933 da Alfonso Bialetti, reduce da esperienze migratorie e ispirato dalla moglie che faceva il bucato con la lisciveuse, l’antesignana della lavatrice; uno strumento, dotato di una sorta di caldaia e di un tubo, il cui funzionamento ricorda in parte proprio quello della moka.

Per quale ragione ti sei rivolto a un regista svizzero per questo film?

Il soggetto l’avevo già in testa ma, vivendo molto immerso nel territorio, avevo bisogno di uno sguardo esterno che mi aiutasse a distanziarmi da ciò che quotidianamente vedo e ascolto. Avevo bisogno insomma di occhi nuovi, vergini.

Alcune delle storie che raccontiamo nel film non le ho anticipate a Erik, ho aspettato che fosse lui a scoprirle e poi ci siamo confrontati e insieme abbiamo scritto la sceneggiatura. Erik è stato molto bravo a guadagnarsi la fiducia delle persone coinvolte, anche grazie alla scelta di rivolgersi a loro, in alcuni casi, in un dialetto che è molto simile a quello ticinese.

“Queste storie ci hanno portato a pensare al territorio come a un corpo, un tempo in piena salute, che era stato ucciso”.

Come mai avete scelto di raccontare questa storia in stile noir?

Dopo aver raccolto tutto il materiale, le storie e le immagini, abbiamo cominciato a riflettere insieme sulla forma, sulle modalità del racconto. Mi piace pensare che Moka noir sia innanzitutto una matrioska, un racconto che contiene molti altri racconti al suo interno. Queste storie ci hanno portato a pensare al territorio come a un corpo, un tempo in piena salute, che era stato ucciso. A partire da questa metafora è stato quasi naturale costruire il film come un’inchiesta di polizia in stile giallo-noir.

Qual è l’origine della fortuna industriale di Omegna?  

Qui nell’Ottocento c’era poco o nulla. Anche l’agricoltura non era florida. C’erano soltanto alcune botteghe artigiane. Poi è nata la Calderoni, che produceva pentole, vassoi e posate. La scintilla che però ha fatto partire il polo industriale è stata l’invenzione della moka.

Poi è arrivato il boom economico e ha fatto il resto: in quel momento storico era possibile anche vendere ghiaccio agli eschimesi. Anche la presenza di molti torrenti ha aiutato: era molto facile produrre energia idroelettrica attraverso delle piccole turbine.

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Nel film si parla anche della pubblicità, in particolare di Carosello …

Senza Carosello, Omegna avrebbe avuto una vita diversa. Il merito, in questo caso, non si può che attribuire a Renato Bialetti, il figlio di Alfonso, che ha compreso l’importanza di quella che una volta si chiamava réclame, alla francese. Renato ha investito molti quattrini in Carosello e nelle pubblicità del prodotto proiettate al cinema.

L’imprenditore ci raccontava delle critiche dei colleghi che lo accusavano di buttare via denaro per niente. Alla fine, ha avuto ragione lui e quelli che hanno seguito la stessa strada: oltre all’omino con i baffi della Bialetti, a Carosello, erano molto popolari anche Gli Antenati della Girmi e la Linea di Cavandoli, animazioni che hanno fatto storia.

Quale era lo spirito di Omegna durante gli anni d’oro?

Negli anni Settanta la forte dimensione comunitaria era la caratteristica principale di Omegna. Un ex sindacalista raccontava della grande popolarità dei circoli operai che erano una sorta di estensione dell’ambiente familiare. Nei decenni precedenti, nelle osterie del paese, era possibile vedere operai e industriali insieme a bere ‘bianchini’. Con l’avvento degli anni Ottanta, sempre secondo il sindacalista, tutto è cambiato. Lo slogan della televisione privata di Berlusconi, l’allora Fininvest, era in questo caso emblematico: “Corri a casa in tutta fretta, c’è il biscione che ti aspetta”.

E i conflitti sociali?

Sono stati ben presenti. Prima dell’arrivo dei sindacati in fabbrica, nel secondo dopoguerra, i padroni avevano un rapporto paternalistico con gli operai. Nel secondo dopoguerra, le organizzazioni dei lavoratori hanno cominciato a rappresentare le istanze dei lavoratori. Il sindacato all’interno della Lagostina era fortissimo, un modello persino per le fabbriche torinesi, ed è riuscito a ottenere conquiste che andavano ben oltre il salario. Un esempio in questo senso è stata la biblioteca di fabbrica. Il sindacato voleva che gli operai conoscessero una parola in più dei padroni. Il sindacato a Omegna non aveva soltanto un’idea di fabbrica, ma un’idea di società.   

cartello con la scritta bialetti giace per terra
Ad Omegna restano ormai solo i ricordi. Venturafilm

Come Omegna ha gestito la crisi?

Ci sono state diverse fasi di crisi nel corso dello scorso secolo. Poi c’è stata l’ultima crisi, quella iniziata nel 2007, quando, per tornare alla metafora del territorio-corpo, il medico legale ha decretato la morte di Omegna. Ho avuto l’impressione che gli omegnesi siano stati troppo passivi, hanno vissuto la crisi come qualcosa di ineluttabile, non c’è stata quella comunità d’un tempo attorno alle varie chiusure.

La crisi di Omegna e di siti industriali simili ha avuto conseguenze sul Ticino?

Non sono ferrato su questo tema d’attualità, ma è chiaro che la crisi del Settentrione d’Italia abbia creato una maggiore presenza di frontalieri nella Svizzera italiana. Omegna non è territorio di frontalieri, troppo lontana dal confine, ma nel Verbano e nell’Ossola ci sono molte persone che si recano quotidianamente in Ticino o nel Vallese a lavorare.

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