Assolto l’agente che ha ucciso sei anni fa un africano a Bex
Lo stabile a Bex (Vaud) dove è avvenuta la sparatoria nel novembre 2016.
Keystone / Alexandra Wey
L’agente che nel 2016 ha ucciso un giovane congolese nel Canton Vaud è stato completamente scagionato dal Tribunale federale. Secondo i giudici il poliziotto ha sparato contro il 27enne, in evidente stato di alterazione e munito di coltello, per legittima difesa.
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tvsvizzera.it/spal con Keystone-ATS
Nella sera del 6 novembre di sei anni fa una pattuglia della polizia comunale, allertata da una telefonata, era intervenuta in un edificio a Bex, dove un uomo di origine africana aveva sfondato la porta di un vicino, minacciato alla gola con un coltello da pane, per poi lasciare l’appartamento senza usare violenza fisica.
I cinque agenti giunti sul posto avevano cercato di calmare il 27enne, che versava in uno stato di agitazione, sotto il probabile influsso della droga (ecstasy) che è stata successivamente individuata nel suo sangue. Alla vista dei poliziotti l’uomo ha aggredito uno degli agenti inseguendolo con il coltello in mano e si è poi diretto verso il sergente minacciandolo con l’arma impropria.
Quest’ultimo ha quindi sparato con la sua pistola d’ordinanza tre colpi che hanno raggiunto il padre di famiglia alla coscia e al petto. Nonostante il massaggio cardiaco praticato dagli agenti e l’arrivo dei soccorsi il cittadino africano era spirato sul posto a causa della ferita ai polmoni.
L’evento ha provocato diverse reazioni: diverse centinaia di persone avevano manifestato alcuni giorni dopo a Losanna per protestare contro la presunta “profilatura razziale” della polizia e anche la Repubblica democratica del Congo aveva chiesto alle autorità svizzere spiegazioni in merito all’uccisione del giovane.
I cinque gendarmi, secondo quanto è emerso dall’indagine, erano equipaggiati con giubbotti antiproiettile e guanti anti taglio e non hanno usato né i loro manganelli né lo spray al pepe per neutralizzare l’uomo. Inoltre, non avevano potuto comunicare tra di loro con la radio poiché era risultata fuori servizio.
Lo scorso 24 febbraio però la suprema corte ha respinto il ricorso di parenti della vittima secondo cui l’indagine era stata condotta male e la reazione dell’agente che aveva sparato era stata sproporzionata.
Ma i giudici federali hanno ritenuto legittimo che la giustizia vodese – che a suo dire non avrebbe assolutamente agito in modo arbitrario – abbia respinto le varie misure d’istruzione e le perizie supplementari richieste dai ricorrenti, che a detta di Mon Repos, non avrebbero permesso di precisare meglio lo svolgimento dei fatti. Non c’è alcun dubbio, come hanno riconosciuto le due prime istanze, che il sergente, ha sottolineato il Tribunale federale, si trovasse in una situazione di legittima difesa quando ha sparato.
L’agente, precisa la sentenza, ha gridato “Stop police” senza che la vittima si sia fermata e ha sparato mentre stava subendo un attacco illecito e imminente, che minacciava la sua vita o la sua integrità fisica. In queste circostanze, scrivono i giudici federali, gli spari devono essere considerati come proporzionati.
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