Addio a James Caan il Sonny Corleone del Padrino
È morto all'età di 82 anni l'attore statunitense James Caan, passato alla storia per le sue interpretazioni nel "Padrino" di Coppola e "Misery non deve morire" di Rob Reiner.
“È con grande tristezza che vi informiamo della morte di Jimmy la sera del 6 luglio”, ha annunciato la famiglia di James Caan in un tweet pubblicato sull’account dell’attore.
Strano a dirsi, nonostante la nomination all’Oscar e l’indubbio successo personale, James Caan non amava identificarsi col personaggio del mafioso americanizzato e rideva del luogo comune per cui tanti a Hollywood credevano avesse radici italiane.
Sta di fatto che nel genere del noir e dintorni si è spesso ritrovato cogliendo successi importanti. Nato nel Bronx il 26 marzo 1940, terzo figlio di un macellaio di origini tedesche, il giovane James cresce nelle strade violente della periferia di New York, è svogliato studente nel Queens e poi all’Università di Hempstead dove incontra per la prima volta l’amico di una vita, Francis Coppola.
Caan lascia precocemente i banchi di scuola per iscriversi ai corsi di recitazione di Sanford Meisner, il suo Pigmalione. Apparirà non accreditato sul set di “Irma la dolce”, si farà notare in tv con la serie “Gli intoccabili”(1962), recita con John Wayne in “El Dorado”, ritrova Coppola (ora regista alle prime armi) in “Non torno a casa stasera” (1969).
Il suo mito è Steve McQueen, emblematico protagonista di un’America rude e vitale in cui più della cultura contano passione e voglia di affermarsi. Se può sceglie ruoli virili (giocatore di football, poliziotto manesco, pokerista incallito, soldato leale, cowboy al tramonto) e non smentirà mai la sua amicizia con un personaggio di dubbia fama (processato per mafia) come Jo Jo Russo, capo indiscusso della famiglia Persico.
In politica James Caan è stato sempre un fervente repubblicano (come l’amico Bruce Willis) e si era impegnato in prima persona per la campagna presidenziale di Donald Trump. Come spesso accade però agli eroi del machismo americano, celava un carattere fragile che lo aveva gettato in una grave depressione all’inizio degli anni 80, costringendolo lontano dal set per cinque anni e lasciandogli una pericolosa dipendenza dalla cocaina da cui riuscì a liberarsi solo grazie a Coppola che gli offrì il ruolo da protagonista in “Giardini di pietra”.
In pubblico mostrava invece un volto sorridente, pronto alla battuta e alle bisbocce in compagnia. Difficile immaginare un americano più americano di lui ed è per questo che grandi registi come Sam Peckinpah o Michael Mann ne avevano fatto un’ideale icona.
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