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Cosa rimane a vent’anni dalla prima Marcia bianca

In Belgio, 300 mila persone scesero in strada contro la pedofilia; intervista a Gino Russo, padre di una delle piccole vittime di Dutroux

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Il Belgio ricorda giovedì il ventesimo anniversario della Marcia bianca: trecentomila persone invasero le strade di Bruxelles per chiedere misure contro la pedofilia e piena luce sul caso Marc Dutroux, scoppiato poche settimane prima.

Il paese e il mondo erano rimasti sconvolti dai crimini del mostro di Marcinelle: il sequestro, lo stupro e l’uccisione di due adolescenti e poi di due bambine, lasciate morire di fame e di sete nella cantina dove erano tenute prigioniere. Mentre altre due bambine erano state ritrovate vive nella cantina degli orrori.

Cosa rimane, vent’anni dopo, di quel caso e della protesta che face nascere? Il nostro corrispondente a Bruxelles lo ha chiesto a Gino Russo , il padre di Melissa, una delle vittime di Marc Dutroux.

“Erano passati 17 mesi dal sequestro di mia figlia. Durante tutto questo tempo avevo dormito pochissimo, ero vuoto”, ricorda. “Vedere tutta questa gente -sembrava che fosse venuto tutto il Belgio- mi ha dato forza. Dopo sette mesi ho ripreso il lavoro, a tempo parziale perché avevo tanti impegni in giustizia e in politica. Ho ripreso la vita come tutti, con la differenza che vivo giorno per giorno. Progetto poco, perché questa storia ha un po’ cambiato la maniera di vedere la vita.”

Con l’organizzaione svizzera Terres Des Hommes, Gino Russo si è battuto perché l’associazione a scopo di pedofilia venisse annoverata tra i crimini di competenza della Corte penale internazionale. Ma non ha avuto successo.

“Se degli adulti si organizzano per sequestrare, violentare, uccidere dei bambini volevamo che questo fosse considerato come crimine contro l’umanità, un po’ come un crimine di guerra.”

Al processo contro Dutroux e i suoi complici, nel 2004, i Russo non parteciparono, in polemica con un’inchiesta che, secondo loro, non era andata abbastanza lontano. Dodici anni dopo la fiducia nel sistema non è molto cambiata.

“Se dovesse riprodursi lo stesso avvenimento, il sistema poliziesco-giudiziario funziona allo stesso modo: un sequestro di un bambino non è prioritario. Se nel caso di vent’anni fa avessimo messo un po’ più di serietà, penso che Julie, Melissa, An e Eefje sarebbero ancora vive.”

Le potenziali Julie e Melissa di oggi, secondo Gino Russo, sono i minori non accompagnati, i bambini degli ambienti meno favoriti.

“Ci sono molti bambini che non sono seguiti, che non hanno una protezione quotidiana”.

Carine e Gino Russo sono contrari alla pena di morte. Quattro anni anni fa si sono opposti senza successo alla scarcerazione della moglie di Dutroux, Michelle Martin, che ha scontato metà della pena. Il loro sogno sarebbe poter semplicemente dimenticare il mostro e i suoi complici.

“Ma la mia vita è legata fino alla morte a quelle persone. È come un naso, un braccio, un piede o la testa: sono legati, non me li posso staccare. È una lavoro quotidiano, una violenza quotidiana”.

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