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Amianto e cancro, confermata la condanna all’imprenditore svizzero

parenti vittime Eternit.
I parenti delle vittime davanti al Palazzo di Giustizia di Torino, nel maggio 2015, prima di una prima udienza preliminare per il caso Eternit bis. Keystone / Alessandro Di Marco

Convalidata oggi a Torino l'ultima delle pene inflitte al magnate elvetico del cemento - oggi filantropo - Stephan Schmidheiny nelle cui fabbriche si trattava l'amianto senza precauzioni. Migliaia le vittime contate anche in Svizzera ma i casi sono stati tutti prescritti.

Nel processo chiamato Eternit Italia bis, la Corte di Appello di Torino ha confermato la condanna dell’imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny, 75 anni, per la morte di un operaio del gruppo Eternit, riducendo la pena a 1 anno e 8 mesi.

Il magnate del cemento era accusato del decesso, causato dalle conseguenze del contatto con l’amianto, di un ex dipendente e di un abitante di Cavagnolo, in Piemonte, nei cui pressi sorgeva uno degli stabilimenti di Schmidheiny.

Stephan Schmidheiny in una foto del 1997.
Stephan Schmidheiny in una foto del 1997. Keystone / Martin Ruetschi

L’uomo è stato condannato per omicidio colposo aggravato per la morte, avvenuta il 7 dicembre 2008, di una delle due persone per le conseguenze di un mesotelioma, un tumore raro associato soprattutto all’esposizione all’amianto.

“Una giustizia a metà”

“Giustizia a metà, una condanna ridimensionata ma siamo fiduciosi sull’esito della Cassazione”, è stato il commento odierno dell’avvocato Ezio Bonanni, presidente dell’Osservatorio nazionale Amianto e difensore dei familiari dell’operaio morto nel 2008, citato dall’agenzia italiana Adnkronos.

“Purtroppo le lungaggini giudiziarie, e anche l’ipergarantismo, hanno determinato che soltanto uno tra i due casi, non ancora prescritti, del troncone di Torino, ha superato il vaglio della responsabilità penale per il reato di omicidio colposo”, ha aggiunto il legale.

“Ci attendiamo che la Corte di Cassazione confermi il giudizio e che ci sia giustizia per le vittime. Schmidheiny si ritiene un ambientalista e nega tutte le sue responsabilità. Queste sentenze, invece, ne segnano la sua colpevolezza per i reati ascritti, in attesa del giudizio della Cassazione”, ha sottolineato infine Bonanni.

I precedenti

Le diatribe giudiziarie dell’ormai ex industriale Stephan Schmidheiny in Italia durano da anni. L’ultima fabbrica italiana ha chiuso (su auto-istanza di fallimento) nel 1986. Malgrado il divieto alla lavorazione dell’amianto sia arrivata in Italia solo anni dopo, secondo le magistrature, anche nel 1986 era già troppo tardi e le conseguenze – misurate in vite umane – continuano a sentirsi.

Dalla prima fabbrica di tegole, costruita dal bisnonno di Stephan, Jacob Schmidheiny, a Heerbrugg nel canton San Gallo nel 1867, ne è passata di acqua sotto i ponti.

Dopo gli studi in giurisprudenza all’università di Zurigo, nel 1974 Stephan Schmidheiny entra nella Eternit AG di Niederurnen, nel canton Glarona, come direttore delle vendite. Nel 1976, incaricato dal padre, diventa direttore generale del gruppo Eternit svizzero SEG a soli 28 anni, un’impresa a gestione decentrata con partecipazioni in oltre 20 Paesi. Nel 1984 il padre Max esegue la divisione ereditaria: Stephan riceve il gruppo Eternit svizzero, mentre suo fratello Thomas la società che opera nel cemento Holderbank (oggi fusa in Lafarge-Holcim).

La produzione di amianto comincia ad essere contestata già negli anni ’70. Ma il divieto a trattare la fibre minerali in questione arriva in Svizzera solo nel 1990 e diversi anni più tardi in Italia. 

Eternit, ad ogni modo, non era più presente nel Belpaese dal 1986 e Stephan Schmidheiny, intanto, ha anche deciso di cambiare vita dedicandosi attivamente alla filantropia.  Nel 1990, è stato nominato “consigliere capo per l’industria e l’economia” per la preparazione della Conferenza delle Nazioni Unite sull’Ambiente e lo Sviluppo. Pubblicherà in merito diversi bestseller internazionali e fonda il World Business Council for Sustainable Development WBCSD. Opera nell’ambito dell’efficienza ecologica e riceve anche diversi titoli di dottore onorario, conferitogli dall’INCAE Business School di Costa Rica, dalla Yale University, dal Rollins College degli Stati Uniti e dalla Universidad Católica Andrés Bello del Venezuela.

Vale la pena citare anche un altro elemento della famiglia, il fratello di Stephan, Thomas Schmidheiny. Pur non avendo interessi personali diretti, Thomas Schmidheiny ha da parte sua offerto 3 milioni di euro al comune di Casale Monferrato che ha subìto le peggiori conseguenze legate all’amianto in Italia. Un atto che lui stesso ha definito di “riconciliazione con la città”. Quei soldi vennero impiegati per l’acquisto di attrezzature diagnostiche per l’ospedale di Casale, per finanziare i servizi di assistenza ai malati terminali e in parte (circa 200’000 euro) in favore dell’Associazione delle vittime e dei sindacati.

Il primo processo contro Schmidheiny è iniziato nel 2009. Lo svizzero è in quell’occasione stato accusato per la morte o la malattia di quasi 3’000 persone. Dopo una condanna in appello a 18 anni, nel 2014 la Cassazione ha dichiarato tutto prescritto.

Nell’aprile del 2022, il Tribunale di Napoli ha poi condannato il miliardario elvetico a tre anni e sei mesi di carcere per omicidio colposo di un dipendente di Bugnoli morto nel 2009 a causa delle conseguenze sul lungo termine dell’amianto.

In merito alla fabbrica di Bugnoli, i pubblici ministeri avevano chiesto 23 anni e 11 mesi per l’omicidio volontario di otto persone. Per sei di questi casi è scattata la prescrizione, e per il settimo, Schmidheiny è stato assolto perché la vittima abitava nella zona ma non lavorava alla Eternit. Ecco dunque il perché della condanna a tre anni e sei mesi.

Casale Monferrato, la città dell’amianto

Il caso più grave è però quello di Casale Monferrato, in Piemonte, dove si trovava il più grande impianto italiano di Eternit. Qui, le diagnosi di mesotelioma continuano ad arrivare ancora oggi.

Il 9 giugno 2021 è iniziato alla Corte delle assise di Novara il processo concernente la morte di 392 persone, la maggior parte delle quali si è ammalata di questo raro tipo di cancro pleurico pur non avendo mai lavorato nella fabbrica, ma a causa dell’esposizione ambientale, quindi per aver respirato un’aria carica di fibre di amianto.

Casale Monferrato, un comune con poco più di 30’000 abitanti in provincia di Alessandria, è stata per decenni la sede del più grande centro di produzione di manufatti in cemento-amianto d’Europa.

Una realtà che dava un lavoro a un’importante fetta della popolazione, la quale trattava il materiale senza che venissero adottate precauzioni né protezioni per la salute. La conseguenza è stata che le fibre bianche che caratterizzano la sostanza sono uscite dalle mura dell’azienda, invadendo le strade, le abitazioni e anche le scuole.

A Casale Monferrato si contano già migliaia di vittime del mesotelioma ma, secondo gli esperti, il picco di diagnosi sarà raggiunto solo nel 2025.

Vittime anche in Svizzera

L’industria di Stephan Schmidheiny è stata per decenni presente anche in Svizzera. In patria, però, l’imprenditore non rischia conseguenze in quanto, casi di questo tipo, andavano in prescrizione dopo soli dieci anni. Un periodo spesso troppo breve per constatare le potenziali conseguenze.

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È stato anche in considerazione del caso Eternit che il Parlamento federale ha approvato un’estensione della prescrizione per questo tipo di reato a partire dai vent’anni dai fatti. Una modifica entrata però in vigore solo dal 2020.

Secondo dati riportati dal sindacato elvetico Unia, finora in Svizzera sono circa 2’000 persone morte del cancro legato all’amianto e altri muoiono ogni anno, poiché possono volerci decenni prima che questo male si palesi.


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