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Accordo fiscale italo-svizzero, cui prodest?

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di Riccardo Franciolli

Leggi la nostra guida: Quello che c’è da sapere sull’accordo fiscale tra Italia e Svizzera

La Voluntary disclosure, ovvero la legge sul rientro dei capitali, rischia di essere un flop.

Prima di tutto, come ha avuto modo di precisare lo stesso ministro dell’economia Pier Carlo Padoan, non si tratta di un condono per cui chi si autodenuncia dovrà pagare tutte le imposte evase.

Secondo, più del 50% dei capitali nascosti è ben custodito nelle banche elvetiche, soprattutto in Ticino. Si parla di 150-180 miliardi di franchi. Ma la Confederazione è sulla black list italiana dei paradisi fiscali e per regolarizzare questi capitali, vi è un pesante aggravio per cui nessuno sarà tanto temerario di autodenunciarsi.

A meno che la Svizzera non sigli un accordo fiscale, che preveda uno scambio di informazioni bancarie, entro 60 giorni dall’entrata in vigore della Voluntary disclosure.

Non va neppure scordato che la Svizzera ha firmato nel mese di maggio di quest’anno il protocollo OCSE e dal 2017 sarà automatico lo scambio di informazioni bancarie.

Con queste premesse c’è da chiedersi a chi interessi veramente l’accordo fiscale italo-svizzero.

Probabilmente allo stato italiano che potrebbe recuperare in breve tempo – sottoforma di imposte –importanti capitali che per le finanze attuali sarebbero una vera manna. E per ogni anno successivo rappresenterebbero una bella entrata per l’erario.

Dovrebbe interessare anche ai cittadini italiani che hanno i capitali nascosti in Svizzera. Infatti con la Voluntary disclosure l’autoriciclaggio diventa reato (ed è il vero valore aggiunto della legge). Meglio autodenunciarsi oggi che attendere con terrore il 2017, quando la Svizzera avrà abolito il segreto bancario. A quel punto se si venisse “beccati” si verrebbe accusati non solo di evasione fiscale ma anche di autoriciclaggio che prevede pene fino a 8 anni di prigione.

Interessa però anche alla Svizzera: la Confederazione verrebbe tolta dalla black list italiana che penalizza attualmente molte aziende elvetiche.

Ma potrebbe interessare anche alla piazza finanziari elvetica che da diversi anni predica la volontà di lavorare solo con soldi puliti e dichiarati al fisco. Una buona operazione di marketing.

Ma nel contempo potrebbe anche non interessare alle banche svizzere. I ricchi italiani che non hanno nessuna intenzione di dichiarare i loro averi allo stato italiano, con l’accordo fiscale, potrebbero spostare i loro capitali in altri paradisi fiscali. E il Ticino per primo teme questa eventualità.

Potrebbe infine non piacere alla Lega Nord e alle regioni italiane confinanti con la Svizzera (soprattutto Lombardia e Piemonte, ma anche in minima parte Valle d’Aosta e Trentino Alto Adige): infatti se un accordo verrà siglato, sicuramente conterrà una soluzione per la tassazione dei frontalieri sfavorevole ai comuni italiani.

E sembra proprio che questo sia il punto di maggior disaccordo. La Svizzera – su chiara volontà del canton Ticino e della Lega dei ticinesi – vorrebbe trattenere più di quanto faccia già oggi (attualmente circa il 40% delle imposte dei frontalieri viene riversato a Roma e successivamente ai comuni di frontiera), l’Italia – su suggerimento della Lega Nord e dei tanti sindaci dei comuni di confine – non capisce perché si debba rinegoziare questo punto e indebolire di fatto questi comuni che fanno affidamento sui ristorni per i loro investimenti.

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