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Accordo Svizzera-UE, i sindacati non ci stanno

Due uomini e una donna seduti a un tavolo con un microfono; dietro a essi, due totem con il logo dell USS
Il presidente del sindacato SEV Giorgio Tutti, quello dell'USS Paul Rechsteiner e la presidente di UNIA Vania Alleva. Keystone

L'Unione sindacale svizzera USS ha annunciato mercoledì che non accetta di trattare con la Confederazione sulle misure di accompagnamento alla libera circolazione delle persone tra Svizzera e Unione europea.

L’organizzazione sindacale non transige poiché ritiene che l’obiettivo delle discussioni sia indebolire la protezione dei salari versati ai lavoratori residenti, precisa una notaCollegamento esterno.

Le consultazioni con i cantoni e i sindacati -di competenza del ministro dell’economia Johann Schneider-Ammann, un ex imprenditore- erano state sollecitate dal Consiglio federale (governo) in vista di un accordo istituzionaleCollegamento esterno tra Berna e Bruxelles.

Regola degli 8 giorni e cauzione

È noto che l’Unione europea vedrebbe di buon occhio un allentamento delle misure di accompagnamento alla libera circolazioneCollegamento esterno, in particolare dell’obbligo per le aziende di annunciare otto giorni prima dell’arrivo in Svizzera i lavoratori distaccati.

L’obbligo prevede anche il versamento di una cauzione, e -nelle intenzioni di chi ha formulato la norma- dà tempo alle autorità di controllare salari e condizioni di lavoro.

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Il governo ha sempre affermato che le disposizioni in favore del mercato interno del lavoro non sono negoziabili, ma l’apertura di un tavolo sulle misure collaterali appare in contrasto con quanto detto finora.

“Se serve, sarà referendum”

Ne è convinta l’USS, la quale preannuncia che utilizzerà tutti i mezzi a sua disposizione per evitare che si intacchi la protezione dei salari. I sindacati credono che Schneider-Ammann voglia rimettere in discussione anche le garanzie fissate dai Contratti collettivi.

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L’Unione europea vorrebbe che la Svizzera adottasse le regole comunitarie sui lavoratori distaccati, già imposte -in quanto membri dell’UE- a Lussemburgo e Austria.

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