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Boris Johnson sospende per 5 settimane i lavori parlamentari

uomo travestito da Boris JOhnson con una pala davanti a un cancello e un cartello
"La democrazia britannica riposa in pace": la mossa di Boris Johnson ha scatenato un putiferio in Gran Bretagna. Nell'immagine una manifestazione davanti a Downing Street. Copyright 2019 The Associated Press. All Rights Reserved

Il premier conservatore ha deciso mercoledì di sospendere il Parlamento per cinque settimane, fino al 14 ottobre, due settimane prima della data della Brexit. Un'iniziativa che la regina non ha potuto che approvare e che ha suscitato le ire dell'opposizione.

Con questa mossa, Boris Johnson abbrevia la durata della sessione parlamentare, in modo da ridurre ai minimi termini gli spazi a disposizione dei deputati ostili a un divorzio senza accordo dall’Unione Europea.

Sulla carta si tratta di un’iniziativa ordinaria dell’esecutivo. Iniziativa che la 93enne Elisabetta II, ligia da sempre alle forme e ai limiti d’una monarchia costituzionale, non ha potuto far altro che approvare di prassi sulla base del “suggerimento” (advice) ricevuto per telefono dal primo ministro. E su cui ha apposto infine la sua scontata firma nel castello scozzese di Balmoral, malgrado gli appelli e le richieste d’incontri urgenti ricevute dal capo dell’opposizione laburista, Jeremy Corbyn, e da quella liberaldemocratica, Jo Swinson; o ancora la petizione popolare di protesta capace in poche ore di raccogliere centinaia di migliaia di firme sul web.

Il servizio da Londra della RSI:

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“Un oltraggio costituzionale”

La polemica si è fatta subito rovente. Lo speaker della Camera dei Comuni John Bercow, battitore libero conservatore inviso ai fautori della Brexit del suo partito d’origine, ha denunciato in un proclamo senza precedenti la strategia di Downing Street come “un oltraggio costituzionale”. Corbyn ha parlato a sua volta di una “minaccia alla democrazia”. E la first minister di Edimburgo, Nicola Sturgeon, leader di un’altra forza d’opposizione, gli indipendentisti scozzesi dell’Snp, ha bollato Boris Johnson come un aspirante “dittatore in miniatura”.

Del resto, se Donald Trump ha preso risolutamente le parti del “grande” Boris via Twitter (e l’Ue ha preferito ufficialmente tacere), un commentatore e attivista britannico di sinistra, Owen Jones, è arrivato a far balenare addirittura lo spettro del “colpo di stato”, lanciando un manifesto online in favore di proteste di piazza che già vedono la luce. E alcuni deputati, fra cui il ministro ombra laburista Clive Lewis, hanno invocato l’occupazione degli scranni di Westminster come atto di resistenza al “sopruso”.

Scelta legittima

In una lettera ai deputati, Johnson ha cercato viceversa di giustificare la sua scelta – che figure pubbliche anti Brexit quali l’ex premier John Major o l’imprenditrice Gina Miller intendono sfidare in tribunale – come legittima, prima del cosiddetto Queen’s Speech, il discorso con cui tradizionalmente la sovrana apre il nuovo anno parlamentare leggendo il programma del governo in carica per i mesi successivi.

Un appuntamento spostato al 14 ottobre, con 5 settimane di buco necessarie nelle parole del successore di Theresa May a preparare i progetti legislativi “esaltanti” che il gabinetto si propone di varare in vista della Brexit su sanità, lotta al crimine o istruzione.

Il premier ha inoltre respinto come “totalmente falsa” l’accusa di Bercow e di altri di voler silenziare le Camere, sostenendo che queste avranno modo di tornare a dire la loro sul distacco da Bruxelles dopo il Consiglio Europeo del 17-18 ottobre. E ha ribadito di mirare semmai a un nuovo accordo con l’Ue, pur insistendo sulla condizione (finora categoricamente respinta dai 27) di far sparire il backstop sul confine aperto irlandese.

In realtà, però, la tempistica e la durata della chiusura del Parlamento (‘prorogation’, nell’ordinamento d’oltremanica) rappresentano un macigno che, salvo revoche, lascerà ai deputati – divisi su quasi tutto, ma in maggioranza contrari al no deal – poche carte da giocare e pochissimi giorni: una settimana di sedute dal 3 al 10 settembre; due fra il 14 e il 31 ottobre. Tempo durante il quale gli oppositori – con la sponda di una pattuglia crescente di Tory moderati – dovranno provare ad alzare le barricate con due sole strategie possibili. O quella d’una legge pro-rinvio (dall’incerto potere vincolante) che tenti di vietare al governo un traumatico taglio netto dall’Ue; o quella di una mozione di sfiducia, che Corbyn promette “al momento opportuno”, ma a cui Johnson pare già pronto a reagire con la scommessa di elezioni anticipate immediate: da cavalcare, nel caso, secondo lo schema ‘popolo contro palazzo’

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