Trump smentisce Netanyahu, “a Gaza bambini affamati”

Nella Striscia di Gaza "la fame è reale" e colpisce anche i bambini. A riconoscerlo è ormai pure Donald Trump che dalla Scozia ha preso le distanze da Benyamin Netanyahu e dai tentativi del governo israeliano e dell'esercito di Israele (Idf) di negare la carestia.
(Keystone-ATS) L’occasione per alzare la voce è stato un faccia a faccia con il primo ministro britannico Keir Starmer nel lussuoso resort di proprietà della famiglia del presidente americano a Turnberry, nella contea scozzese dell’Ayrshire.
Teatro di un nuovo evento all’insegna della cosiddetta “diplomazia del golf” dopo l’incontro di ieri con Ursula von der Leyen per la chiusura di un accordo con l’Ue sui dazi. Faccia a faccia dedicato in questo caso soprattutto alla politica estera, con la doppia stretta evocata da Trump – almeno a parole – nei confronti sia di Vladimir Putin (per la guerra in Ucraina), sia di Netanyahu.
Una stretta invocata dall’alleato Starmer, pressato in patria sull’emergenza Gaza da uno sdegno che dilaga nel mondo politico come nella società. E preso di mira per le esitazioni che in veste di leader moderato dell’esecutivo laburista continua per ora a mostrare rispetto alle sollecitazioni ad affiancare quanto meno la Francia di Emmanuel Macron nel riconoscimento simbolico unilaterale dello Stato di Palestina annunciato di fronte alle Nazioni Unite per settembre: senza continuare a legarlo alla ripresa futura d’un processo di pace, se e quando ci sarà.
Incalzato dai giornalisti sulle ultime affermazioni del premier israeliano secondo cui a Gaza “la fame non c’è”, Trump da Turnberry non ha usato mezzi termini. Parlando di “una fame vera”, su cui non si può fingere, e aggiungendo che “Israele ha una grande responsabilità sul flusso degli aiuti”. Oltre che sulla malnutrizione che affligge in particolare i più piccoli: “Basandomi sulle immagini della televisione quei bimbi sembrano molto affamati”, ha tagliato corto.
Una situazione dinanzi alla quale gli Usa “stanno mandando molto denaro e altre nazioni stanno incrementando gli aiuti”, ha assicurato, non senza promettere l’istituzione di nuovi “centri di distribuzione alimentare” nella Striscia per “nutrire i bambini e i civili”: in una terra ridotta a “un macello” laddove “ora servono cibo e sicurezza”. Centri non circondati “da reticolati”, ha precisato, a differenza di quelli affidati in numero limitatissimo negli ultimi mesi alla Gaza Humanitarian Foundation (Ghf), e divenuti – secondo denunce ripetute – trappole mortali per decine e decine di persone in coda.
Trump nello stesso tempo non ha mancato di puntare l’indice contro Hamas, accusata di trattenere come estremo “scudo umano i 20 ostaggi” israeliani che sarebbero rimasti nelle sue mani. Nonché sull’Iran, “intromessosi” a suo dire nei recenti negoziati di Doha con “messaggi negativi a Hamas” tali da contribuire a far saltare l’accordo su un cessate il fuoco. Cessate il fuoco che peraltro il leader della Casa Bianca considera ancora “possibile”, mentre chiede a pubblicamente a Netanyahu di “mettere fine” all’escalation militare.
Toni più in sintonia che mai con quelli di Starmer, secondo il quale nella Striscia “la crisi umanitaria” è a un livello da “catastrofe assoluta”. E a cui ha fatto eco da Bruxelles l’iniziativa della Commissione europea di proporre una sospensione parziale dell’accesso d’Israele al programma Ue di finanziamento alla ricerca Horizon. Mentre sul riconoscimento dello Stato palestinese, il presidente ha svicolato, dicendo di non voler “prendere posizione”.
Sul terreno, intanto, la ripresa parziale degli aiuti, frutto anche delle pressioni su Israele, non impedisce al conto dei morti, addebitati alla fame o ai rinnovati raid dell’Idf in alcune aree di Gaza, di continuare ad aggravarsi.
Mentre in Cisgiordania ritornano le violenze dei coloni, denunciate in particolare – con la copertura di unità dell’esercito – nel villaggio cristiano palestinese di Taybeh: attacchi contro case e auto scatenati al grido di slogan tipo “Fuori gli arabi o morte” e bollate da fonti della Chiesa cattolica come di stampo “terroristico”.
Scenari che hanno indotto due associazioni pacifiste israeliane, B’Tselem e Medici per i Diritti Umani, a elevare la loro protesta di nicchia per quanto accade a Gaza fino a rompere un tabù: quello sulla parola “genocidio”.