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Trump incalza Hamas, fate in fretta. Negoziati in Egitto

Keystone-SDA

Prima fragile tregua a Gaza da inizio anno, dopo il sì condizionato di Hamas al piano di pace di Donald Trump e la frenata di Israele ai combattimenti.

(Keystone-ATS) Tuttavia in serata il premier Benjamin Netanyahu ha dettato le sue linee rosse, annunciando in un videomessaggio tv che l’Idf resterà nella Striscia durante l’attesa liberazione degli ostaggi e che il gruppo di militanti palestinese sarà “disarmato, diplomaticamente tramite il piano di Trump o militarmente da parte nostra”.

A pochi giorni dal secondo anniversario degli attacchi del 7 ottobre e a quasi due anni di guerra con 67 mila palestinesi uccisi, le crescenti possibilità di una svolta saranno ulteriormente negoziate da lunedì a Sharm el-Sheik.

Al tavolo le delegazioni di Hamas e di Israele, guidata dal ministro per gli Affari Strategici Ron Dermer, l’inviato speciale Usa per il Medio Oriente Steve Witkoff e Jared Kushner, il genero del tycoon. La presenza degli americani sottolinea la determinazione di Trump nel finalizzare un risultato che, come ha sottolineato lui stesso, va oltre Gaza e riguarda “la pace tanto attesa in Medio Oriente”. Un’occasione storica per stabilizzare la regione e allargare gli accordi di Abramo.

Per poter procedere, il presidente Usa ha abbracciato la risposta di Hamas come un ‘sì’, forzando la mano a Benyamin Netanyahu e costringendolo a congelare l’offensiva. Il giorno dopo ha usato bastone e carota, esprimendo il suo plauso a Israele per aver “temporaneamente cessato i bombardamenti” e avvisato che “Hamas deve muoversi in fretta, altrimenti tutte le scommesse saranno annullate”. “Non tollererò ritardi, che molti pensano avverranno, né alcun esito in cui Gaza rappresenti nuovamente una minaccia. Facciamolo, in fretta. Tutti saranno trattati in modo equo!”, ha scritto su Truth, continuando a dettare la linea e sperando di ottenere il Nobel per aver fermato “l’ottava guerra”. Poi in un’intervista esclusiva a Channel 12, il tycoon ha riferito di aver detto al premier israeliano “Bibi, questa è la tua occasione per vincere”. “Siamo vicini a un accordo. Bibi è favorevole, Hamas ha fatto un grande passo, vogliono concluderlo”, ha aggiunto, assicurando che il leader israeliano “era d’accordo. Con me bisogna essere d’accordo”. “Bibi è andato troppo oltre e Israele ha perso molto sostegno nel mondo. Ora io restituirò tutto quel sostegno”, ha proseguito, ringraziando il presidente turco Erdogan per il suo aiuto determinante.

I negoziati si concentreranno su tempi e modalità di liberazione degli ostaggi ma anche su diversi punti sollevati o dribblati da Hamas: dal suo disarmo al suo ruolo nel futuro governo della Striscia sino al ritiro dell’esercito israeliano. Se i colloqui in Egitto procederanno senza intoppi, gli ostaggi potrebbero essere rilasciati “entro pochi giorni”, ha previsto un alto funzionario israeliano, affermando inoltre che gli attuali rapidi sviluppi sono stati “pienamente coordinati” fra Trump e Netanyahu e che i due leader hanno parlato telefonicamente venerdì prima che Trump dichiarasse di credere che Hamas sia “pronto per una pace duratura” e intimasse a Israele di “fermare immediatamente i bombardamenti su Gaza”.

Qualche attacco sporadico è continuato ma ora c’è un periodo di relativa calma, anche se la protezione civile di Hamas ha riportato un bilancio di 57 morti negli attacchi dall’alba, di cui 40 nella sola Gaza City. Fino alle prime ore del mattino, l’Aeronautica Militare stava ancora bombardando in tutta la Striscia, ma nelle ultime ore la direttiva del vertice politico è di difendersi e di attaccare solo nei casi in cui venga identificata una minaccia per le forze militari. L’Idf ha comunque avvisato che Gaza City rimane una zona di combattimento pericolosa e ha diffidato i palestinesi a tornare verso nord.

Sulla strada per la liberazione degli ostaggi e per la pace sembrano esserci ancora molti ostacoli. La risposta di Hamas ha lasciato irrisolte diverse questioni chiave nel piano di Trump. La sua astuta risposta è stata “sì, e” o “sì, ma”, rilanciando la palla nel campo di Netanyahu e anche di altri attori, dai mediatori come Qatar ed Egitto ad altri Stati arabi o islamici che hanno pressato il presidente Usa per porre fine al conflitto. Bibi, dal canto suo, ha dovuto accettare il piano di Trump per mantenere la sua indispensabile alleanza ma concedendo al contempo il minimo necessario per non alienare i partner della sua coalizione nazionalista religiosa, fortemente contrari a qualsiasi accordo con i palestinesi e da tempo favorevoli al proseguimento della guerra.

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