La televisione svizzera per l’Italia

Strage di Bologna: 45 anni fa un sabato di sangue e shock

Keystone-SDA

Due agosto 1980: anche allora come quest'anno era sabato, un afoso sabato di esodo. Le code in autostrada dovevano essere, come da copione collaudato del periodo, l'argomento del giorno per quotidiani e Tg in Italia.

(Keystone-ATS) A metà mattina, invece, un’esplosione alla stazione centrale di Bologna spezzò nel sangue la tranquilla routine del rito delle vacanze, rigettando il paese nell’incubo del terrorismo: 85 morti e 200 feriti il bilancio finale della strage più sanguinaria nella storia italiana.

Alle 10.25 (l’ora della tragedia rimarrà impressa, come ricordo incancellabile, nelle lancette ferme del grande orologio che si affaccia sul piazzale della stazione) un boato squarcia l’ala sinistra dell’edificio: la sala d’aspetto di seconda classe, il ristorante, gli uffici del primo piano si trasformano in un cumulo indistinto di macerie e polvere. Rimane colpito anche il treno Adria Express 13534 Ancona-Basilea, fermo sul primo binario. Pochi istanti, interminabili, e fra nuvole di detriti si cominciano a intravedere immagini di corpi devastati, feriti in condizioni disperate, taxi in attesa nel parcheggio esterno trasformati in bare dalle lamiere informi. Nel ristorante-bar self service perdono la vita sei lavoratrici. Ovunque lacrime, choc, urla strazianti. E poi polvere, tanta polvere, che entra in gola e soffoca il pianto smarrito di passeggeri che aspettavano solo di partire per le vacanze o per riabbracciare i familiari. Molti, ora, cercano solo di ritrovare voci e volti di parenti e amici. Le prime notizie all’Ansa, riprese da tutti i media anche con edizioni straordinarie, vengono dettate dalla più vicina linea telefonica rimasta in funzione, quella dei controllori degli autobus nel chiosco di piazza Medaglie d’Oro, davanti all’ingresso della stazione centrale.

Comincia un’opera ininterrotta, interminabile, per i tantissimi soccorritori, una catena spontanea che in pochissimo tempo rimette in moto una città che stava chiudendo per ferie. Inizia anche la conta della vittime: la più piccola è Angela Fresu, appena tre anni, poi Luca Mauri di 6, Sonia Burri di 7, e via via fino a Maria Idria Avati, di ottant’anni, e Antonio Montanari, di 86, in una tabella di morte che cancella persone di ogni età, provenienza, storia di vita. Interviene anche l’esercito, mentre il silenzio irreale del centro cittadino è squarciato senza tregua dalle sirene di ambulanze, vigili del fuoco, forze dell’ordine. Un bus Atc della linea 37 diventa simbolo di quel 2 agosto perché si trasforma in un improvvisato carro funebre che fa la spola con la Medicina legale di via Irnerio, a poca distanza, per trasportare le salme. Una surreale corsa diretta stazione-obitorio.

Le ambulanze servono invece per i vivi, che vengono smistati in tutti gli ospedali, dove rientrano in servizio medici e infermieri. “Mi dissero di portare via i cadaveri con il bus – ricorda Agide Melloni, autista di quella vettura Atc 4030 – Dal mattino alle tre di notte, con i lenzuoli bianchi ai finestrini. Ma in ogni viaggio c’era sempre qualche soccorritore con me, per sostenermi”. Le prime ipotesi investigative parlano dello scoppio di una caldaia, ma nel punto dell’esplosione non ci sono caldaie, e la fuga di gas viene presto scartata per lasciare spazio alla vera causa della strage: una bomba ad alto potenziale. In stazione arriva, commosso e impietrito, il presidente della Repubblica Sandro Pertini. Alla Medicina legale, dove le celle frigo sembrano non riuscire a contenere così tanti cadaveri, un maresciallo dei carabinieri continua a tentare di dare un nome a quei corpi. L’identità di vite dissolte, affidata a volte solo a brandelli di indumenti, ad un anello, a quello che rimane di un documento.

Quella stessa sera piazza Maggiore si riempie di bolognesi, attoniti e sgomenti. La città si ritrova nel lutto e da subito chiede la verità, sei anni dopo un’altra strage estiva, la notte dell’Italicus, sull’Appennino bolognese: 4 agosto 1974, 12 morti e 44 feriti. “Lo stesso copione che ha portato alla strage del 2 agosto – dirà il sindaco Renato Zangheri ai funerali – è stato provato sull’Italicus. La stessa città, lo stesso nodo ferroviario, gli stessi giorni delle vacanze, quando i treni e le stazioni sono affollati dalla gente che parte, forse lo stesso proposito di recitare il crimine anche sul corpo di viaggiatori stranieri, e quindi di dimostrare ad altri popoli e governi la debolezza della nostra democrazia e forse, mi inoltro nella logica aberrante di questi nostri nemici, di giustificare futuri colpi liberticidi. Piangiamo le vittime di un delitto la cui infamia non sarà mai più cancellata dalla coscienza del nostro popolo e dalla storia”.

Il primo luglio di quest’anno, con la condanna definitiva all’ergastolo per Paolo Bellini, ex di Avanguardia Nazionale, killer di ‘Ndrangheta, criminale dai mille volti, e ora anche stragista, è calato il velo sulle vicende giudiziarie dell’attentato del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna, che fece 85 morti ed oltre 200 feriti, “il punto più alto della strategia della tensione”, come emerge dalle ultime sentenze. A 45 anni da quella strage la storia della bomba alla stazione è cambiata, molte ombre (non tutte) si sono diradate, la verità è più chiara.

“È la chiusura di un cerchio”, per dirla con le parole di Paolo Bolognesi, presidente uscente dell’associazione dei familiari delle vittime. “Quando nel 1995 ci furono le sentenze della Cassazione per Valerio Fioravanti e Francesca Mambro io già parlavo dei mandanti e qualcuno rideva. Adesso invece c’è un quadro delineato nelle sentenze, sappiamo che i terroristi fascisti hanno fatto la strage, che è stata ideata e finanziata dai vertici della P2 di Licio Gelli e coperta dai servizi segreti deviati”.

SWI swissinfo.ch - succursale della Società svizzera di radiotelevisione SRG SSR

SWI swissinfo.ch - succursale della Società svizzera di radiotelevisione SRG SSR