Starmer diventa premier, “è tempo di ricostruire”
(Keystone-ATS) “Ricostruire il Paese mattone dopo mattone”. Bando alle alzate d’ingegno e ai colpi di testa, ma anche ai sogni troppo arditi, è tempo di “un governo di servizio”.
Le parole di Keir Starmer riecheggiano con il tono della concretezza, almeno nelle intenzioni, nel giorno in cui il Labour torna alla guida del Regno Unito dopo 14 anni di governi Tory segnati da scossoni, crisi globali e lacerazioni interne culminate nell’azzardo della Brexit.
Un’eredità che il nuovo primo ministro non può – e neppure vuole – cancellare, ma che di fatto si propone di mettere alle spalle. Con una cesura netta, non ideologica, tanto meno rivoluzionaria, bensì improntata a uno stile, a un linguaggio, a una narrazione opposte.
Obiettivo dietro il quale l’ex procuratore della corona 61enne che ha riportato i laburisti a trionfare alle urne – con una valanga di seggi, anche se non di voti, grazie al combinato disposto fra il collasso dei conservatori di Rishi Sunak e l’effetto bonus del tradizionale sistema maggioritario uninominale dell’isola – rivela l’ambizione di presentarsi come un primo ministro manager. Il gestore di una ricostruzione.
“Il Paese ha votato per il cambiamento, per il rinnovamento, per il ritorno della politica al servizio pubblico”, ha esordito dal palco di number 10 dopo il rito del passaggio di consegne con Sunak: suggellato dalla conferma del risultato elettorale schiacciante (con una super maggioranza di 412 seggi su 650 alla Camera dei Comuni al Labour, e il record storico negativo di 121 deputati per i Tories), dall’investitura del 75enne re Carlo III in veste di capo dello Stato, dai toni d’un fair play incrociato privo di cadute di stile fra vincitore e perdente.
Un passaggio che per Sunak, primo capo del governo di Sua Maestà di radici indiane, si è consumato ancora una volta sotto un cielo grigio, assai poco estivo, con l’assunzione di colpa per la debacle; il riconoscimento della volontà di cambiamento (e anche del diritto “alla rabbia”) degli elettori, una dichiarazione di scuse e la legittimazione dell’avversario. Mentre per Starmer ha avuto i colori della festa, sullo sfondo delle ovazioni di una folla di sostenitori, collaboratori e familiari, e sotto gli occhi discreti della nuova first lady, Victoria.
Festa che però sir Keir si è ben guardato dal cavalcare per evocare orizzonti di gloria a buon mercato. Semmai per promettere un lavoro ordinario, “giorno dopo giorno”, sulle priorità della gente comune: il rilancio dell’economia, la difesa di “confini sicuri” per contenere l’immigrazione illegale, “più sicurezza nelle strade”, più risorse al sistema sanitario nazionale (Nhs), “rispetto per la dignità di tutti”, lo sviluppo dalle “fonti di energia verdi” viste come “un’opportunità”.
Non senza un riferimento pungente al lascito Tory (e di figure come Boris Johnson) e alla necessità di mettere fine all’epoca delle “performance rumorose” per puntare invece all’unità del tessuto sociale come a quella delle “quattro nazioni” del Regno, a un’azione “calma e paziente” di fronte alle difficili sfide attuali. Con l’impegno a “lavorare al servizio” solo dei britannici e dei loro interessi, nella direzione di “un cambiamento” da avviare “immediatamente”. Il tutto condito dalla promessa di riconquistare “la fiducia” della gente” e da un appello ecumenico: “Con umiltà e rispetto, vi chiedo di unirvi dietro questo governo di servizio per rinnovare questa grande nazione”, una nazione “coraggiosa” di fronte alle burrasche della storia e di un mondo sempre più “volatile”.
Parole tutte da riempire di contenuti, al pari di quelle delle enunciazioni – ragionevoli quanto per ora vaghe – dei programmi di legislatura o di quelli dei primi 100 giorni, affinché appaiano rassicuranti non solo per l’establishment e per gli attivisti di provata fede. Ma che si traducono se non altro in un’accelerazione della ripresa post-elettorale: con la riunione d’esordio del nuovo governo già domani; il taglio della pausa estiva del Parlamento al solo mese di agosto dopo la riapertura delle Camere la prossima settimana; l’introduzione sprint di varie iniziative legislative. Nonché le prime missioni internazionali (a partire dal vertice Nato del 9 luglio negli Usa), segnate dall’allineamento alla strategia della fermezza nel sostegno all’Ucraina contro la Russia, ma pure da un’accentuazione delle pressioni su Israele per “un cessate il fuoco immediato” a Gaza.
Mentre la squadra dell’Esecutivo entrante si completa in poche ore. Con la promozione di gran parte del governo ombra e presenze femminili di peso: da Rachel Reeves, 45 anni, prima cancelliera dello Scacchiere donna della storia britannica, ad Angela Rayner, 44enne anima progressista e popolare della compagine elevata a vicepremier con delega all’Edilizia pubblica e a quel “riequilibrio” sociale e territoriale che troppe aree lontane da Londra attendono invano sull’isola da decenni. Fino alla conferma di David Lammy, 51 anni, avvocato londinese come Starmer, a titolare del Foreign Office; Yvette Cooper, veterana 55enne del Labour ‘governista’ che resta alla guida degli Interni; e il 64enne John Healey, sostenitore della fermezza nell’invio delle armi a Kiev, alla Difesa.