Si stringe sulla tregua, raid uccide 10 bambini

Il negoziato ufficiale tra Israele e Hamas per raggiungere un accordo di tregua a Gaza si sta tenendo nella capitale del Qatar, mentre l'altro, quello riservatissimo anzi segreto, si sviluppa a Washington.
(Keystone-ATS) Nella capitale statunitense le parti seguono minuto per minuto i colloqui sulle linee telefoniche criptate con algoritmi militari, dettando ai team a Doha le mosse, le singole parole. I dettagli che faranno la differenza in un’eventuale intesa. Che potrebbe essere vicina.
Benjamin Netanyahu lascia così Washington dopo quattro giorni intensi e almeno due faccia a faccia ufficiali con Trump senza l’atteso annuncio al fianco dell’alleato. Ma lanciando messaggi tra le righe e minacciando Hamas: “Siamo determinati a riportare a casa tutti gli ostaggi. All’inizio di questo cessate il fuoco entreremo immediatamente in negoziati per porre fine alla guerra in modo permanente” dice ribadendo le linee rosse per centrare l’obiettivo: “Disarmo di Hamas, smilitarizzazione di Gaza e nessuna capacità militare o di governo per Hamas. Se sarà possibile raggiungerle con la diplomazia, tanto meglio. Ma se ciò non accadrà entro i 60 giorni di tregua, lo raggiungeremo con altri mezzi, con l’uso della forza, la potenza del nostro eroico esercito”, ribadisce probabilmente rassicurato sulla sua posizione dal tycoon.
Raid a Gaza
Nella Striscia da una parte infuriano gli attacchi dell’IDF, dall’altra la guerriglia delle fazioni si sta rappresentando in forme definite “suicide”. I media locali raccontano che 16 persone, tra cui 10 bambini, sono rimaste uccise questa mattina quando un raid ha colpito una folla in fila per ricevere integratori nutrizionali per l’infanzia a Deir al-Balah, nella zona centrale di Gaza.
L’esercito ha dichiarato che nella città ha preso di mira un terrorista di Hamas che aveva partecipato al massacro del 7 ottobre. Fonti di Gaza dicono che nelle ultime 24 ore sono state contate almeno 82 vittime e 247 feriti.
Mediazione a Doha
Tornando alle trattative in corso, dietro le quinte stanno lavorando i negoziatori di più alto livello, lasciando ai delegati in Qatar la fase interlocutoria. L’inviato speciale del presidente Trump, Steve Witkoff, e il suo staff, lavorano in stretto contatto con alti funzionari qatarini nella capitale americana, dove con il premier israeliano è atterrato lunedì il ministro Ron Dermer, capo negoziatore e consigliere più stretto di Benyamin Netanyahu.
L’amministrazione Trump si sta avvalendo di un altro prezioso collaboratore, Bishara Bahbah, l’imprenditore nato a Gerusalemme Est che vive da decenni negli USA e ha sostenuto la campagna del tycoon guidando l’elettorato arabo.
Da Ramallah, il presidente dell’ANP Abu Mazen ha inviato un messaggio agli USA chiedendo che l’Autorità venga inclusa nella mediazione poiché a guerra finita potrebbe assumere il controllo o mantenere una parte del controllo della Striscia, con il sostegno di Riad.
Messaggio alle famiglie degli ostaggi
Mercoledì sera Netanyahu ha parlato con le famiglie dei rapiti che lo hanno seguito in America: “Mi sembra che ci stiamo avvicinando. Ci saranno buone notizie”, ha affermato. E rispondendo alla più angosciante delle domande, “chi decide quali saranno i 10 ostaggi a essere liberati per primi”, il premier ha chiarito che “prima occorre raggiungere un accordo, solo dopo Hamas ci farà capire chi verrà incluso”.
Giovedì il Qatar ha trasmesso un primo messaggio positivo a Israele: “L’organizzazione si sta preparando per una possibile tregua e predispone gli ostaggi per il rilascio”. Una fonte vicina ai negoziati ha riferito i tre nodi che Witkoff avrebbe già indicato come risolti: la richiesta di Hamas di garanzie USA affinché il cessate il fuoco rimanga in vigore anche se i colloqui non si concludono nei 60 giorni in discussione (ma, si apprende, gli USA non intendono mettere nero su bianco che Israele non possa riprendere la guerra); l’invio di aiuti a Gaza tramite meccanismi sostenuti dall’Onu e i termini dello scambio tra ostaggi e detenuti palestinesi.
Prima fornitura di carburante dopo 130 giorni
La Gaza foundation ha presentato una nuova modalità di consegna del cibo: sarà ogni capo famiglia di Gaza a comunicare le necessità e a ritirare le forniture. Mentre nuovi centri di distribuzione verranno aperti dalla GHF, che nel frattempo ha ricevuto un finanziamento di 30 milioni di dollari dall’amministrazione Trump. In giornata, l’Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue Kaja Kallas ha annunciato che Israele e l’Unione Europea hanno concordato “misure significative” per aumentare il flusso di aiuti “nei prossimi giorni”. L’intero Medio Oriente aspetta mentre l’ONU ha fatto sapere di aver fatto entrare carburante a Gaza per la prima volta dopo 130 giorni.