Scandalo firme false: polverone sotto il “Cupolone”
(Keystone-ATS) Fare innanzitutto luce su quanto accaduto. È la prima reazione a caldo dei partiti dopo lo scandalo delle potenziali firme false in iniziative e referendum scoppiato ieri. E c’è già chi chiede il divieto di raccogliere sottoscrizione dietro pagamento.
Come prevedibile, lo scoop di Tamedia sull’avvio di un’inchiesta da parte del Ministero pubblico della Confederazione (MPC) su possibili frodi nelle raccolte firme – il sospetto è che società commerciali che si occupano di svolgere questo compito abbiano imbrogliato, falsificando delle sottoscrizioni – ha sollevato un polverone a Palazzo federale.
“Sono costernato e indignato, anche se al momento non conosco l’effettiva portata dell’accaduto”, ha detto oggi a Keystone-ATS il presidente della Commissione delle istituzioni politiche del Consiglio degli Stati (CIP-S) Daniel Fässler (Centro/AI). Il “senatore” chiede la massima trasparenza: “voglio sapere dalla Cancelleria federale quando ha saputo la cosa e se ha ricevuto informazioni trasparenti da Cantoni e Comuni”.
Anche la presidente della Commissione delle istituzioni politiche del Nazionale (CIP-N), la ticinese Greta Gysin, ha espresso il suo disappunto: “la falsificazione delle firme mette in pericolo le nostre istituzioni e la democrazia diretta”, afferma l’ecologista su X. Dal suo punto di vista il pagamento delle firme dovrebbe essere vietato. Il suo partito presenterà ancora questa settimana una proposta in tal senso in seno alla CIP-N.
Da parte sua, il consigliere nazionale bernese del PLR Christian Wasserfallen, anch’egli membro della CIP-N, dice di essere irritato del fatto che la Cancelleria federale fosse al corrente della cosa ma che non abbia comunicato attivamente, così come il Consiglio federale. “Questo comportamento non rafforza la fiducia nelle istituzioni”.
Wasserfallen è però scettico in merito alla proposta di Gysin: “continuo a non credere al divieto di raccolta firme a pagamento”. Anche il capo del gruppo parlamentare dell’UDC Thomas Aeschi (ZG) è contrario al divieto di raccolta firme a pagamento: “abbiamo il diritto di raccogliere le firme come vogliamo”. Il democentrista sottolinea poi come per i referendum il lasso di tempo per trovare le sottoscrizioni necessarie è limitato – 100 giorni – ed è quindi più probabile che si ricorra all’aiuto esterno. Se una società esterna si impegna a raccogliere firme, questo lavoro fa però fatto seriamente, puntualizza lo zughese.