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Raid di Israele a Beirut contro il numero 2 di Hezbollah

Keystone-SDA

(Keystone-ATS) A tre giorni dal massacro di bambini drusi a Majdal Shams, nel Golan settentrionale, la rappresaglia israeliana contro Hezbollah è arrivata. Una potente esplosione ha colpito in serata la roccaforte dei miliziani sciiti filoiraniani nel quartiere Da’aheh a Beirut.

L’attacco, immediatamente confermato dall’esercito israeliano, ha mirato al Consiglio della Shura di Hezbollah oltre che alla sala operativa del braccio militare del partito di Dio e delle Guardie rivoluzionarie iraniane: il bersaglio delle Forze di difesa israeliane (Idf) era Fuad Shukr, alias Hajj Mohsin, numero due delle milizie di Hassan Nasrallah, suo consigliere militare, considerato da Israele “responsabile dell’omicidio dei bambini di Majdal Shams e di numerosi altri civili israeliani”.

Secondo Hezbollah, il colpo israeliano è fallito ma altre fonti, citate da Al Arabiya e dalla tv saudita al Adht, hanno riferito della morte dell’alto comandante sciita. Una fonte medica ha poi detto ad Al Jazeera che il raid ha provocato la morte di tre libanesi e il ferimento di altri 25: secondo quanto riferito da alcuni testimoni, nell’attacco è stato colpito un palazzo di otto piani, tre dei quali sono crollati.

L’operazione dell’Idf, di cui sono stati informati per tempo gli Stati Uniti, è arrivata dopo giorni di tensione alle stelle, in Medio Oriente quanto nelle cancellerie internazionali. Le diplomazie, con in testa Washington, hanno lavorato per ottenere moderazione da entrambi i versanti. Hezbollah pubblicamente ha respinto la richiesta, ma saranno le prossime ore a dirlo.

In serata i capi della forza di mantenimento della pace delle Nazioni Unite in Libano e la coordinatrice speciale delle Nazioni Unite Jeanine Hannis-Plasschaert hanno parlato sia con il Libano che con Israele nel tentativo di impedire lo scoppio della guerra totale, ma sia Beirut che Teheran hanno parlato di “flagrante aggressione” da parte dello Stato ebraico, così come ha fatto Mosca.

Nelle ultime 72 ore tutti gli occhi erano puntati su Benjamin Netanyahu. Contro di lui la comunità drusa del Golan ha usato parole forti, esigendo disperatamente di essere protetta dai missili che arrivano quotidianamente dal Libano, dalla Siria e dai droni dell’Iraq. Contro cui non c’è protezione possibile perchè i confini con i primi due sono troppo vicini. In patria è stato accusato di “aver paura di Nasrallah” dagli amministratori delle cittadine del nord del Paese bersagliate tutti i giorni. Oltre che di debolezza per non aver evitato gli assalti dell’ultradestra a due basi militari in seguito all’arresto di nove riservisti per presunti abusi a un comandante di Hamas. Tutto mentre a nord di Israele per buona parte della giornata sono piovuti attacchi dal Libano, con decine di razzi che hanno provocato la morte di un giovane di 30 anni.

Sul fronte di Gaza, le truppe si sono ritirate da Khan Younis ritenendo le operazioni concluse con 150 miliziani uccisi, tunnel distrutti e cinque corpi di ostaggi riportati a casa. E una valutazione drammatica dell’Idf come per l’intero Israele: “Un certo numero di ostaggi morti probabilmente non verrà ritrovato mai più”. Appena usciti i battaglioni da Khan Younis, la difesa civile palestinese ha denunciato di aver ritrovato 300 cadaveri, molti in decomposizione. Non è stato spiegato se di quei 300 facessero parte anche i miliziani uccisi.

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