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Prof parla di parità salariale, ma rifiuta domande su Credit Suisse

Keystone-SDA

I cambiamenti in atto negli Stati Uniti in materia di uguaglianza e inclusione sono rapidi e violenti, ma occorre fare anche autocritica.

(Keystone-ATS) Lo afferma Iris Bohnet, prima professoressa svizzera ordinaria a Harvard nonché ex consigliera di amministrazione di Credit Suisse, che rifiuta peraltro di rispondere a qualunque domanda sui suoi trascorsi alla testa della banca e, più in generale, sui salari dei manager.

“Il momento è complesso e io sono un’economista e non una politologa, quindi sarò cauta nel commentare l’attuale situazione politica”, afferma la specialista di parità e stereotipi di genere in un un’intervista pubblicata oggi dalla Neue Zürcher Zeitung (NZZ). “Anche perché ho una responsabilità nei confronti della mia università”, aggiunge. “Il mio centro di ricerca non dipende dai finanziamenti statali, ma molti dei miei colleghi sono sotto pressione”.

A suo avviso la critica del presidente americano Donald Trump a tutto quanto ha a che fare con uguaglianza, diversità e inclusione è “ideologica”. “Allo stesso tempo dobbiamo però prendere molto sul serio le critiche e chiederci se abbiamo fatto tutto bene negli ultimi 5-10 anni. Questo vale in particolare per i programmi di diversità qui negli Stati Uniti, ma anche in altri paesi”.

“È sorprendente la rapidità e la violenza con cui si stanno verificando i cambiamenti”, prosegue la docente di Public Policy (politica pubblica). Ma quanto sta avvenendo non deve di per sé stupire. “Gli americani hanno eletto una persona che ha parlato apertamente delle sue idee”, ricorda. “Dobbiamo ammetterlo: forse noi degli stati costieri non abbiamo visto abbastanza quanti uomini nel Midwest degli Stati Uniti hanno perso il lavoro a causa della globalizzazione e dei cambiamenti tecnologici: molti di questi uomini hanno votato per Trump”.

“Molte discussioni sono attualmente incentrate sulla meritocrazia, cioè su un sistema basato sul merito. Ma non c’è meritocrazia senza equità. Se alcuni di noi iniziano una gara dieci metri dietro la linea non stiamo misurando le prestazioni effettive”, argomenta l’esperta con studi e dottorato in economia a Zurigo. “La parità di partenza è un obiettivo importante per una società: questo non significa che la raggiungeremo completamente, ma possiamo apportare alcune modifiche al sistema.

Una componente essenziale dell’equità è che donne e uomini ricevano la stessa retribuzione per lo stesso lavoro. “Ci sono stati grandi progressi in tale campo e questo è anche il risultato delle analisi dei dati. Molte aziende pensavano che non ci fossero differenze retributive: quando poi hanno effettuato le misurazioni si sono rese conto del divario e hanno cercato di colmarlo”.

Che cosa dire – chiedono le giornaliste del quotidiano – dei salari molto elevati dei manager, un tema molto sentito in Svizzera, ma non negli Stati Uniti? “Non posso fornirvi informazioni in merito perché non ho fatto ricerche sul tema”, risponde l’intervistata. L’anno scorso Brian Niccol di Starbucks ha ricevuto 113 milioni di dollari, Larry Culp di GE Aerospace 89 milioni, Jamie Dimon di JP Morgan 39 milioni, sono salari equi? “Non posso dire nulla su questo, come ricercatrice voglio commentare solo se posso contribuire con qualcosa che posso dimostrare empiricamente”.

I compensi più alti – insistono le croniste del quotidiano – sono un mix di stipendio fisso e bonus, questi ultimi possono creare falsi incentivi? “Non posso dire alcunché neanche su questo: non ho fatto alcuna ricerca in merito”, replica la 59enne. Ma come ex membro del consiglio di amministrazione (Cda) di Credit Suisse, che faceva anche parte del comitato per la remunerazione, accetterebbe di nuovo oggi la retribuzione che riceveva allora? “Non posso dirvi nulla al riguardo”. Perché no? “Non posso dire niente al proposito”. Come ex membro del Cda, non può dire nulla? “No, non posso dire nulla: non posso dire nulla in merito”.

“Per noi ” – affermano le redattrici – “è difficile parlare con lei di equità e diversità e ignorare la sua esperienza presso Credit Suisse: è anche un’opportunità per condividere il suo punto di vista”. “Per me è importante poter dire qualcosa su cose importanti per il mondo”, replica l’interessata. “Ma parlo solo come scienziata”. La cultura dell’errore non ha forse a che fare anche con l’equità? “Non posso dirvi nulla al riguardo”.

“A noi – insistono per l’ennesima volta le professioniste del quotidiano zurighese- non ci interessano solo le questioni accademiche, ma anche il mondo reale: dal punto di vista svizzero è incomprensibile che l’intero consiglio di amministrazione di una grande banca si nasconda”. L’intervistata è rimasta in silenzio.

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