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Parmelin: “al WEF non tratterò con Trump su dazi e medicamenti”

Keystone-SDA

Al Forum economico mondiale di Davos (WEF) la Svizzera ufficiale non tratterà con il presidente americano Donald Trump di dazi e di prezzi dei farmaci: lo afferma Guy Parmelin, presidente della Confederazione per il 2026.

(Keystone-ATS) “Il presidente Trump utilizzerà il WEF come piattaforma per diffondere i suoi messaggi e incontrerà numerosi capi di stato”, osserva il 66enne in un’intervista pubblicata oggi dalla SonntagsZeitung (SZ). “Probabilmente avremo anche modo di parlare. A Davos però non ci saranno negoziati tra gli Stati Uniti e la Svizzera. Possiamo comunque comunicargli che siamo pronti per il passo successivo, ovvero la conclusione di un accordo vincolante sui dazi doganali”.

“Diverse aziende farmaceutiche hanno stipulato accordi con il governo statunitense. Ciò non ha nulla a che vedere con la dichiarazione d’intenti che la Svizzera ha firmato con gli Stati Uniti in novembre”, sottolinea il ministro dell’economia. “Si tratta di due cose distinte. A ciò si aggiunge il fatto che abbiamo negoziato un’aliquota doganale massima generale del 15%, che si applicherebbe anche ai prodotti farmaceutici. Attualmente l’aliquota è pari allo zero per cento”.

Intanto però – fanno presente i giornalisti del domenicale – il CEO di Roche Thomas Schinecker ha detto che gli svizzeri dovranno pagare di più per i farmaci, per compensare i prezzi in calo tariffario negli Usa. “La consigliera federale Elisabeth Baume-Schneider ed io abbiamo istituito un gruppo di lavoro dedicato al settore farmaceutico, che inizierà presto la sua attività”, replica l’intervistato. “Il suo obiettivo è migliorare le condizioni del nostro polo economico per l’industria farmaceutica. Allo stesso tempo, però, i costi sanitari in Svizzera non dovrebbero aumentare ulteriormente. Potremmo, ad esempio, investire di più nella ricerca. Ma lo ammetto: è come cercare la quadratura del cerchio”.

Altro momento importante per il paese sarà il voto, in giugno, sull’iniziativa dell’UDC “No a una Svizzera da 10 milioni”. “Il Consiglio federale ritiene che essa sia troppo rigida”, dice a questo proposito l’esponente democentrista. “Ne illustreremo i rischi che comporta. La Svizzera ha sempre orientato l’immigrazione in funzione dell’economia e ne ha tratto vantaggio. Già oggi, a causa del calo delle nascite e dell’invecchiamento della popolazione, l’economia ha difficoltà a trovare manodopera qualificata. L’iniziativa la limiterebbe, ad esempio nel reclutamento di personale altamente qualificato. Per questo motivo il Consiglio federale si opporrà all’iniziativa”, prosegue. “Il mio collega Beat Jans ha il comando sul tema. Ma considerando i rischi che l’iniziativa comporta per l’economia anch’io mi impegnerò in prima persona”.

Per quanto riguarda i rapporti con l’Ue, il politico vodese ribadisce di puntare sulla continuità. “I partiti e l’esecutivo non hanno lo stesso ruolo. Ho sempre difeso la posizione del Consiglio federale. Nel 2021 ho dichiarato a Bruxelles, a nome del Consiglio federale, che non avremmo firmato l’accordo quadro allora in discussione. Difenderò anche la posizione del governo sui nuovi accordi. Per il Consiglio federale i vantaggi del nuovo pacchetto prevalgono: vogliamo stabilizzare le relazioni con l’Ue”, conclude.

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