Morto a 97 anni il documentarista franco-tedesco Marcel Ophüls

Il cinema piange la scomparsa di Marcel Ophüls, gigante del documentario storico e memoria viva di un'Europa lacerata dalle guerre e dai totalitarismi.
(Keystone-ATS) Il regista franco-tedesco è morto sabato 24 maggio all’età di 97 anni nella sua casa nel sud-ovest della Francia. La notizia è stata resa pubblica oggi, dal nipote Andreas-Benjamin Seyfert.
Autore del celebre “Le Chagrin et la pitié” (1971), documentario che scardinò il mito di una Francia interamente resistente durante l’occupazione nazista, e vincitore dell’Oscar nel 1989 per il miglior documentario con “Hôtel Terminus – Klaus Barbie, sa vie et son temps”, Marcel Ophüls è stato un dei cineasti più rigorosi e coraggiosi del dopoguerra, capace di portare sullo schermo le contraddizioni più profonde della memoria europea. Tra i suoi lavori più acclamati anche “The Memory of Justice” (1976) e “Veillées d’armes” (1994), inchieste penetranti sui crimini di guerra, la responsabilità morale e l’uso politico della verità.
Nato a Francoforte sul Meno il 1° novembre 1927, figlio del celebre regista tedesco Max Ophüls e dell’attrice Hilde Wall, Marcel Ophüls è cresciuto tra le ferite dell’esilio e della Storia. La sua famiglia, di origine ebraica, lasciò la Germania nel 1933 per sfuggire al nazismo, prima rifugiandosi in Francia e poi riparando negli Stati Uniti nel 1941, mentre l’Europa sprofondava nel baratro della guerra. Fu proprio quell’infanzia segnata dalla fuga e dalla perdita che avrebbe nutrito l’opera cinematografica di Ophüls, fatta di rigore documentaristico e impegno civile. Tornato in Francia nel 1950, cominciò la sua carriera come assistente alla regia – anche nell’ultimo film del padre, “Lola Montès” (1955) – prima di passare alla regia vera e propria.
Dopo qualche incursione nella fiction – “Buccia di banana” (1963) con Jean-Paul Belmondo e Jeanne Moreau, “Il pugno proibito dell’agente Warner” (1965) – fu con il documentario “Le chagrin et la pitié” (1971) che Marcel Ophüls segnò un punto di svolta nella narrazione della storia francese del Novecento. Il film, una lunga inchiesta di oltre quattro ore sulla città di Clermont-Ferrand sotto l’occupazione nazista, spezzò il mito di una Francia interamente resistente, rivelando la realtà dolorosa della collaborazione con il regime di Vichy. Commissionato dalla televisione pubblica, il documentario fu però rifiutato e censurato fino al 1981, ma ottenne un clamoroso successo in sala e fu candidato all’Oscar. Ophüls, da quel momento in poi, scelse di dedicare tutta la sua carriera alla testimonianza e all’interrogazione della coscienza collettiva.
Con “The Memory of Justice” (1976), presentato fuori concorso al Festival di Cannes e vincitore del Golden Globe come miglior documentario, mise a confronto i crimini del nazismo con altre tragedie del dopoguerra, interrogando la responsabilità individuale e istituzionale. Il suo capolavoro, riconosciuto con l’Oscar nel 1989, fu “Hôtel Terminus – Klaus Barbie, sa vie et son temps”, una spietata indagine sull’ex capo della Gestapo a Lione, noto come il “macellaio di Lione”, e sulla rete di protezioni che gli permise di sfuggire alla giustizia per anni. Quel lavoro, vincitore anche del premio Fipresci a Cannes, è considerato uno dei vertici assoluti del cinema documentaristico.
Nel 1994 tornò a riflettere sulla guerra e la manipolazione mediatica con “Veillées d’armes”, realizzato durante il conflitto nella ex Jugoslavia. Sempre rigoroso, mai compiacente, Ophüls faceva del dubbio uno strumento di indagine e della memoria un esercizio etico. Il regista, che negli ultimi anni viveva ritirato nei Pirenei Atlantici, lascia tre figlie e tre nipoti. Era vedovo di Régine Ophüls, nata Ackermann. “Attraverso uno sguardo personale e un’intransigenza morale rara, Marcel Ophüls ha saputo cogliere le tracce indelebili che la Storia lascia nelle vite umane. Ci esortava a restare lucidi, vigili e profondamente legati alla democrazia”, ha scritto suo nipote nel comunicato di annuncio della morte. Con lui se ne va una voce necessaria, testimone delle ombre del XX secolo e infaticabile cercatore di verità. Ma il suo cinema resta, vivo e indispensabile.