Le aziende svizzere cercano di adattarsi ai dazi statunitensi

Le aziende elvetiche, che siano marchi iconici come Victorinox o realtà specialistiche come Thermoplan, cercano di adattarsi ai dazi doganali del 39% imposti dagli Stati Uniti.
(Keystone-ATS) Una delle possibilità, oltre all’aumento dei prezzi, è quella di trasferire le attività fuori dalla Svizzera.
Thermoplan, che esporta macchine del caffè automatizzate in 84 Paesi, invia negli Stati Uniti circa un terzo dei prodotti fabbricati nella Confederazione. Si tratta quindi di “un mercato molto importante”, i “dazi al 39% ci colpiscono quindi direttamente e in maniera sensibile”, ha spiegato il responsabile del marketing Yves Zurmühle all’agenzia finanziaria AWP.
“A breve termine, questo significa una pressione maggiore sui prezzi e trattative più complesse con i nostri clienti”, ha aggiunto. “A medio e lungo termine, ci obbliga a diventare più efficienti, a esaminare scenari alternativi di approvvigionamento e produzione, e trovare con i nostri partner mezzi per assicurare la nostra competitività”.
L’impresa da 540 dipendenti, con sede a Weggis (LU), non potrà scaricare tutte le sovrattasse sui propri clienti statunitensi. Questi ultimi si preoccupano dei prezzi, dei tempi di consegna e della pianificazione, considerando che affrontano già dazi del 50% sulle importazioni di caffè brasiliano.
Se un trasferimento completo della produzione negli Stati Uniti sarebbe solamente effettuato come ultima ratio, “uno spostamento parziale verso la Germania, dove si trova una nostra filiale, sembra nettamente più realistico”, ha sottolineato Zurmühle. L’azienda dovrà analizzare differenti scenari e sottolinea che il livello di formazione in Svizzera e la qualità garantita dal “made in Switzerland” sono pilastri del suo successo.
Dal canto suo Nespresso, che produce in Svizzera le proprie capsule di caffè e quelle di Starbucks, ha preferito per il momento non commentare. La filiale di Nestlé, che conta tre siti di produzione nei cantoni di Friburgo e Vaud, ha totalizzato 3,2 miliardi di fatturato nel primo semestre, con una crescita a due cifre in Nord America.
Victorinox anticipa una fattura salata
Il noto fabbricante svittese di coltellini svizzeri Victorinox ha anticipato il colpo dei dazi creando uno stock negli Stati Uniti, suo principale mercato d’esportazione. I costi aggiuntivi sono quindi “controllabili” per l’anno in corso, ma se il problema persistesse “parleremmo di costi supplementari fino a 13 milioni di dollari all’anno a partire del 2026”, ha calcolato il CEO Carl Elsener, contattato dall’AWP.
A suo dire, si tratta di un “situazione incredibilmente difficile”, per un gruppo che soffre già della forza del franco. I dazi aggravano il tutto, “in particolare per prodotti come i coltelli professionali, per i quali siamo in concorrenza diretta con fabbricanti americani ed europei”. Victorinox realizza il 13% del fatturato negli Stati Uniti, dato che sale al 18% se si prendono in considerazione solo i coltelli professionali e da cucina.
Victorinox rinuncia ad ogni modo ad aumentare i prezzi già nel 2025 e discute con la propria squadra americana di valutare “prezzi realizzabili” per l’anno prossimo.
Il gruppo studia anche “la possibilità di effettuare certe tappe del lavoro, come la pulizia finale e l’imballaggio dei coltelli professionali, direttamente sul posto” negli Stati Uniti. “Una delocalizzazione della produzione all’estero, soprattutto per i coltellini, non è un’opzione per noi”, ha sottolineato Elsener. “Il nostro marchio vive per le sue origini svizzere, per la sua qualità e i suoi valori”.
Per quel che riguarda il fabbricante di caramelle Ricola, l’azienda ha ricordato di avere un’attività mondiale che parte dalla Svizzera, e continua ad esservi legata. Il gruppo con sede a Laufen, nel canton Basilea Campagna, discute l’aggiustamento dei prezzi con i clienti americani, vi saranno poi “innovazioni e risparmi nella catena d’approvvigionamento quando questo sarà possibile e giudizioso”.