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“La fine della globalizzazione è l’inizio della fine dell’Ue”

Keystone-SDA

La frenata alla globalizzazione imposta dal presidente americano Donald Trump rappresenta l'inizio della fine dell'Unione europea, con i singoli paesi sempre più indebitati e a rischio crollo.

(Keystone-ATS) Ne è convinto Felix Zulauf, uno dei più noti esperti svizzeri in materia di mercati finanziari, che critica anche il modello di sviluppo elvetico degli ultimi decenni: troppa quantità ma poca qualità, dice, la prosperità dei singoli non è aumentata.

“Trump sta facendo esattamente ciò che aveva promesso prima delle elezioni”, afferma il 74enne in un’intervista pubblicata oggi dalla Neue Zürcher Zeitung (NZZ). “Vuole riportare la produzione industriale negli Stati Uniti e garantire l’autosufficienza. Ritiene che il mondo abbia trattato gli Stati Uniti in modo ingiusto per anni”.

Nel frattempo la Cina sta perseguendo un modello di sviluppo completamente diverso, che prevede investimenti massicci. “Le aziende statali non puntano alla redditività, ma alla maggiore quota di mercato globale possibile. Il problema è che il modello occidentale e quello cinese non sono compatibili. L’Europa, compresa la Svizzera, ha perseguito una politica mercantilista incentrata sulla promozione delle esportazioni dopo la Seconda guerra mondiale”.

“Stiamo assistendo alla fine della globalizzazione e dell’Organizzazione mondiale del commercio”, riassume il gestore di un hedge-fund con patrimoni miliardari. “Gli Stati Uniti non aderiscono più alle regole concordate nel 1947, ma vogliono eliminare uno squilibrio che, a loro avviso, conduce a un vicolo cieco. La crisi odierna è dovuta agli obiettivi sempre più contrastanti di Asia, Europa e America”.

“Trump ha compreso che gli Stati Uniti non possono più garantire la sicurezza del mondo perché sono finanziariamente eccessivamente oberati. Ciò significa che l’ordine mondiale unipolare Usa-centrico è finito e che il mondo ha bisogno di un nuovo ordine. Se invece la tendenza degli ultimi decenni dovesse rimanere invariata gli Stati Uniti si ritroverebbero con un debito insostenibile, che porterebbe anche a un crescente impoverimento della classe media. Questa classe media ha votato per Trump perché lui ha promesso a queste persone che avrebbe riportato più posti di lavoro negli Stati Uniti”.

“Il suo piano è brutale e altamente rischioso”, prosegue il professionista con trascorsi presso UBS. “Ma, in primo luogo, sta facendo solo quello che aveva detto che avrebbe fatto prima delle elezioni e, secondariamente, nel suo primo mandato aveva già proposto la completa eliminazione dei dazi ai principali partner commerciali per ottenere una concorrenza leale: tutti hanno rifiutato. Nel frattempo comunque i cinesi hanno fatto i compiti e sono quindi ben preparati: hanno diversificato le loro esportazioni e aperto nuovi mercati. Gli europei, invece, ancora una volta si sono persi completamente i nuovi sviluppi”.

“Anche l’Europa ha beneficiato enormemente del fatto che gli Stati Uniti abbiano stimolato fortemente la loro domanda interna per decenni. La conseguente bassa propensione americana al risparmio e l’eccessivo consumo hanno rappresentato una politica malsana, che ha contribuito al deficit commerciale. Inoltre, le aziende statunitensi hanno esternalizzato la loro produzione a causa dei vantaggi di costo. Trump vuole porre fine a questo sviluppo”.

Ma l’Europa – chiede il giornalista NZZ – è abbastanza forte per affrontare la svolta? “Ne dubito, perché l’Ue è stata costruita in modo centralizzato e il continente, in quanto campione mondiale di regolamentazione, limita la competitività”, risponde l’intervistato. “Anche dal punto di vista politico l’Europa è paralizzata: molti paesi, come Francia e Austria, sono diventati di fatto ingovernabili. E la Germania è sulla buona strada: il nuovo cancelliere Friedrich Merz sta già iniziando il suo mandato come un’anatra zoppa perché non ha mantenuto le sue promesse il giorno dopo le elezioni. Ora sta anche conducendo la Germania verso il debito”.

“In pochi anni il debito della Germania supererà il 100% del prodotto interno lordo. In Francia raggiungerà presto il 130% e in Italia e Grecia sarà ancora più alto. A causa della mancanza di crescita, l’economia viene stimolata con sempre più debito finanziato dalla stampa di banconote, ma questo non genera quasi nessuna crescita reale aggiuntiva”, osserva lo specialista che nel 1987 predisse il crash borsistico.

“La situazione mette a rischio i servizi dello stato sociale, che sono stati ampliati in modo massiccio, e i cittadini perdono potere d’acquisto. Le difficoltà dei paesi dell’Ue sono ora drasticamente aggravate dalla politica tariffaria di Trump. La fine della globalizzazione significa l’inizio della fine dell’Ue nella sua forma attuale: i paesi europei torneranno a concentrarsi sui loro interessi nazionali”.

Che cosa dire della presente fase di crollo delle borse? “I mercati azionari sono stati evidentemente colti di sorpresa, anche se Trump aveva annunciato queste misure prima delle elezioni”, osserva Zulauf. “La fine della globalizzazione comporta un cambiamento storico e provoca shock, perché la maggior parte degli investitori è impreparata. Di conseguenza, la prima cosa che accade è il panico e le vendite. Inoltre, la precedente valutazione dei mercati azionari, in particolare negli Stati Uniti, era storicamente estremamente elevata”.

“L’attuale pessimismo è probabilmente vicino all’estremo. Ora inizieranno i negoziati. A seconda dell’esito, la contrazione (dei mercati, ndr) potrebbe terminare in poche settimane e, in caso positivo, è possibile anche una ripresa. Ma poiché è probabile che il mondo scivoli verso la recessione, gli utili aziendali diminuiranno”.

In tal caso nella seconda parte dell’anno potrebbero verificarsi nuovi crolli: il mercato statunitense potrebbe perdere circa il 20%. “Nello scenario pessimistico, Trump non raggiungerà il suo obiettivo e inasprirà ulteriormente le misure: cosa che però non mi aspetto. In questo caso, il commercio globale crollerebbe e si scatenerebbe una crisi economica di diversi anni”.

“La storia economica ci insegna che i grandi debiti hanno invariabilmente portato a turbolenze sui mercati finanziari e spesso a bancarotte”, afferma l’esperto. “Negli ultimi 200 anni, l’Austria-Ungheria, la Spagna, la Germania, il Portogallo, la Grecia sono fallite più volte e l’Italia una volta. Quindi non c’è nessuna novità sotto il sole, semplicemente dalla Seconda guerra mondiale non siamo abituati a questo fenomeno e lo conosciamo solo dai paesi in via di sviluppo. Ora il problema sta arrivando in Europa perché qui si è praticata una cattiva gestione, soprattutto dopo la caduta del muro di Berlino, e stiamo vivendo al di sopra delle nostre possibilità”.

Anche la Confederazione non è sulla buona strada. “A mio avviso, la Svizzera ha perseguito per anni un modello sbagliato”, insiste Zulauf. “Dall’introduzione della libera circolazione delle persone con l’Ue il rapporto tra esportazioni e prodotto interno lordo è passato dal 55% al 75%. Ma malgrado la forte crescita quantitativa la nostra prosperità pro capite sta ristagnando. La Banca nazionale avrebbe quindi dovuto consentire una maggiore rivalutazione del franco per promuovere una crescita qualitativa piuttosto che quantitativa.”

“Ho poca simpatia anche per gli ultimi due tagli dei tassi d’interesse. Questi non portano alcun beneficio all’economia, mentre a farne le spese sono ancora una volta i risparmiatori. Inoltre, tassi di interesse troppo bassi portano a investimenti sbagliati, che poi scoppiano come un bubbone in caso di crisi”, conclude il veterano dei mercati finanziari.

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