L’ombra dell’Isis sulla strage in Daghestan
(Keystone-ATS) Spunta l’ombra dell’Isis nell’attacco armato che domenica ha fatto strage nel travagliato Caucaso russo con un bilancio che si è drammaticamente aggiornato con il passare delle ore: l’ultimo è di almeno 20 morti e diverse decine di feriti.
Almeno 15 i poliziotti uccisi, in gran parte di fede musulmana, 5 i civili tra i quali un prete ortodosso a cui è stata barbaramente tagliata la gola. Tra i 46 feriti, 4 agenti e 3 altre persone sono in “gravi condizioni”.
All’indomani dell’assalto alcuni osservatori, tra cui il think tank americano Institute for the study of war (Isw), puntano l’indice contro il ramo regionale dell’Isis, ma gli eredi di al Baghdadi non hanno, almeno per ora, rivendicato l’attacco che ha preso di mira due chiese, due sinagoghe e un posto di blocco della polizia stradale nel capoluogo Makhachkala e nella vicina Derbent.
L’assalto è iniziato proprio in quest’ultima città: un commando di uomini in nero ha attaccato e dato alle fiamme una chiesa ortodossa e la vicina sinagoga, sparando all’impazzata su polizia, guardie della sicurezza e passanti. Diversi i morti, tra le vittime anche padre Nikolai Kotelnikov, 66 anni, “assassinato senza pietà” ha denunciato la Chiesa ortodossa. “L’hanno sgozzato”, ha dichiarato un responsabile locale.
I numerosi video girati dai testimoni inquadrano gli uomini in nero, molti a viso scoperto, che con cipiglio militare aprono il fuoco contro i mezzi della polizia che arrivano in soccorso. Poi la fuga, a bordo di un’auto nei pressi.
Dopo nemmeno mezz’ora, mentre le fiamme divorano quasi per intero la centenaria sinagoga di Derbent che viene praticamente distrutta, un altro commando apre il fuoco contro la polizia accanto alla cattedrale dell’Assunzione a Makhachkala, 125 chilometri più a nord, capoluogo della regione e città largamente più popolosa dell’intero distretto settentrionale del Caucaso russo.
Si scatena una furiosa sparatoria, che lascia subito sul terreno almeno 4 agenti, poi il commando si sposta nei pressi di una sinagoga lanciando altri ordigni incendiari. Dopo numerose ore di scambi di colpi d’arma da fuoco e caccia all’uomo, l’antiterrorismo russo dichiara finita l’emergenza. Il resoconto ufficiale parla di “sei terroristi uccisi e identificati”. La prima testa a cadere è stata quella del capo del distretto daghestano di Sergokaly, Magomed Omarov, licenziato e arrestato per le sue “responsabilità”. I suoi due figli avrebbero fatto parte di uno dei due gruppi di terroristi.
Le immagini della strage, comprese quella della fuga di massa dei bagnanti da una spiaggia dove le forze di sicurezza sembrano arrestare due terroristi, evocano da vicino il massacro targato Isis alla sala da concerti Crocus City Hall di Mosca nel marzo scorso, costato la vita a 144 persone. Un attacco che ha spinto il presidente Vladimir Putin e le altre autorità russe, pur ammettendo la matrice jihadista, a chiamare in causa i servizi segreti ucraini come possibili mandanti.
L’Isw americano stima che il gruppo Wilayat Kavkaz, ramo del Caucaso settentrionale dello Stato Islamico, “ha probabilmente condotto l’attacco coordinato”. La filiale russa dell’Isis “Al-Azaim Media”, pur non rivendicando l’assalto, ha “elogiato i fratelli del Caucaso per aver dimostrato le loro capacità”.
Wilayat Kavkaz è nato nel 2015 e dopo numerose sconfitte sembrava essere stato sostanzialmente spazzato via e senza una leadership. Dallo scorso aprile però, all’indomani della mattanza a Mosca, erano stati segnalati già due attacchi ai danni della polizia in remoti villaggi nelle aree più montagnose. Si stima siano diverse centinaia, forse oltre 2’000, i reduci dell’Isis rientrati dopo le disfatte in Siria e Iraq. Ora sembra che questa armata perduta si sia riorganizzata e sia pronta a giocare un sinistro ruolo da protagonista nel lungo travaglio del Caucaso russo, coltivando il diabolico sogno di tornare a colpire anche in Occidente.