Interessi negativi? “Non c’è alcuna giustificazione al momento”

Al momento non sussiste alcuna giustificazione per introdurre tassi d'interesse negativi in Svizzera: lo sostiene Ernst Baltensperger, uno dei massimi esperti elvetici di politica monetaria.
(Keystone-ATS) Critiche vengono mosse anche nei confronti dei nuovi accordi con l’Ue: il loro prezzo politico è troppo alto, dice.
“Posso comprendere le decisioni della nuova direzione generale della Banca nazionale svizzera (BNS)”, esordisce il professore emerito di economia all’Università di Berna in un’intervista pubblicata oggi dalla Neue Zürcher Zeitung (NZZ). “L’inflazione è molto bassa e il franco è forte. Io sarei però stato un po’ più cauto con i tagli dei tassi d’interesse: lo 0,5% è già molto basso”.
“Penso che dovremmo chiederci perché oggi il rincaro sia così limitato”, prosegue lo specialista. “Da un lato perché il prezzo del petrolio è sceso, dall’altro per l’apprezzamento del franco. Il prezzo del petrolio non continuerà a scendere per sempre; di certo non offre motivi per una dinamica deflazionistica. Lo stesso vale per il tasso di cambio: sta aumentando in termini nominali soprattutto perché l’inflazione all’estero è più alta. E anche un piccolo apprezzamento reale non porta ancora a dinamiche deflazionistiche”.
“Credo che al momento si sia un po’ troppo ansiosi”, argomenta l’83enne. “Non dobbiamo interpretare immediatamente ogni trimestre di prezzi in lieve calo come spirale deflazionistica”. La Svizzera dimostra peraltro che il timore di fasi temporanee di inflazione leggermente negativa è infondato. “Lo abbiamo sperimentato in varie occasioni in passato. Lo sviluppo economico reale è stato migliore di quello della maggior parte dei paesi in cui il rincaro è sempre rimasto positivo. In un paese con una politica monetaria stabile le aspettative d’inflazione non deragliano così rapidamente”.
“Abbiamo un obiettivo di inflazione compreso tra lo 0 e il 2%. Finché la crescita dei prezzi rimane all’interno di questa fascia, non è necessario intervenire”, osserva l’accademico che ha insegnato – oltre che a Berna – alla Ohio State University, a Heidelberg e a San Gallo. “Ciò vale anche se i limiti vengono leggermente superati, purché la BNS abbia buone ragioni per ritenere che ciò avvenga solo temporaneamente”.
Quindi – chiedono i giornalisti della NZZ – non è il caso di ripetere l’esperimento dei tassi di interesse negativi, in vigore dal 2015 al 2022? “A mio avviso, i tassi di interesse negativi non sono stati un errore”, risponde l’ex consulente della Banca nazionale. “Si è trattato di una risposta sensata al regime di tassi di interesse zero e negativi praticati all’epoca dalle principali banche centrali. La BNS non poteva sottrarsi a questo contesto globale. La colpa della situazione era della Federal Reserve e della Banca centrale europea (Bce). Se la BNS avesse lasciato il proprio tasso guida al di sopra di quello della Bce avrebbe provocato un significativo calo dei prezzi e un forte apprezzamento del franco. Si è trattato di una politica speciale in una situazione straordinaria”.
Le condizioni attuali sono invece molto diverse. “Negli Stati Uniti il tasso d’interesse di riferimento è ancora superiore al 4%, nell’Eurozona al 2%. È possibile che le banche centrali riducano leggermente il costo del denaro, in parte a causa delle forti pressioni politiche. Ma non immediatamente a zero o addirittura in territorio negativo. In questo contesto, non vedo alcuna giustificazione per tassi d’interesse negativi in Svizzera”. Secondo l’intervistato si può immaginare che la BNS ricorra nuovamente a tassi sotto lo zero in determinate circostanze, ma solo temporaneamente, non come una nuova normalità.
Per Baltensperger, che ha scritto un libro di riferimento sul franco, si può peraltro essere fieri dell’andamento della moneta elvetica nei decenni. “Naturalmente, ci sono anche conseguenze negative associate a una valuta temporaneamente troppo forte. Ma nel complesso gli aspetti positivi superano nettamente quelli negativi. Credo che anche la popolazione svizzera la veda così. C’è però una tendenza, anche tra gli economisti, a vedere la forza della moneta come un problema: si dice che renda più difficili le esportazioni e metta a rischio la base industriale. Il nostro sviluppo economico reale è però stato migliore rispetto a quello di altre aree valutarie, malgrado la forza del franco”.
Lo specialista di politica monetaria non nasconde le sue riserve nei confronti dell’euro. “Consideravo e considero tuttora l’euro un progetto con problemi strutturali: una moneta comune senza una politica finanziaria comune, in una struttura statale a metà tra una confederazione e uno stato federale. Questo era – ed è – problematico. Gli sviluppi degli ultimi decenni lo hanno confermato”.
L’ex presidente della Commissione federale per le questioni congiunturali – organo consultivo del Consiglio federale che non esiste più – non vede di buon occhio nemmeno l’accordo con l’Unione europea sottoscritto dal governo. “Sono scettico sui nuovi trattati con l’Ue, ma non perché sia fondamentalmente contrario ai legami contrattuali con l’Unione europea. L’indipendenza monetaria non esclude, ovviamente, intese nel settore del commercio. Le mie riserve sono di natura politica: l’accesso preferenziale al mercato unico ha indubbiamente un valore, ma non così tanto come spesso si sostiene. Non è che senza questi accordi non potremmo esportare nell’Ue, anche se a volte la cosa viene presentata così”.
“Per me il prezzo politico dei trattati con l’Ue è troppo alto”, afferma Baltensperger. “I trattati incidono sulla democrazia diretta della Svizzera. Il diritto di referendum ci sarebbe ancora, ma sarebbe fortemente limitato in termini materiali perché non potremmo più votare con la stessa libertà”, conclude.