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Il culto Rolex: marketing, mito e una narrazione senza tempo

Keystone-SDA

Cosa trasforma un semplice orologio in un simbolo di status riconosciuto in tutto il mondo? Per Rolex, la risposta non risiede tanto in complicati meccanismi, quanto in una narrazione potente e coerente: se sei fuori dal comune, anche il tuo orologio deve esserlo.

(Keystone-ATS) È questa la formula che, secondo lo storico Pierre-Yves Donzé, ha permesso al marchio ginevrino di dominare incontrastato il mercato dell’alta orologeria dagli anni 70 a oggi.

“Il suo messaggio è rimasto immutato per oltre cinquant’anni: un orologio eccellente per persone eccellenti, cioè per coloro che hanno raggiunto dei traguardi”, spiega l’autore di “La fabrique de l’excellence. Histoire de Rolex” in un’intervista pubblicata oggi dalla Neue Zürcher Zeitung (NZZ). “Questa coerenza è unica. Mentre altri marchi hanno riadattato il loro profilo a ogni cambio di CEO, Rolex ha mantenuto la stessa narrazione”.

Tale perseveranza ha prodotto risultati commerciali straordinari. “Numeri ufficiali non ce ne sono, poiché l’azienda non pubblica rapporti finanziari. Ma le analisi delle banche, le dichiarazioni degli ex direttori di Rolex, i documenti interni delle agenzie pubblicitarie e i dati dell’ente di certificazione COSC mostrano che il marchio ha surclassato la concorrenza”.

Il punto di svolta, secondo l’analisi di Donzé, è arrivato nel decennio della contestazione. “Gli anni 60 portarono il cambiamento. Rolex spostò il fulcro della comunicazione, dalle caratteristiche tecniche alla narrazione sull’eccellenza. Al centro non figurava più l’orologio, ma la persona che lo indossava. L’orologio divenne un simbolo del successo personale. Fu l’inizio della comunicazione moderna del lusso”.

Questa intuizione, rivoluzionaria per il settore, arrivò dagli Stati Uniti. “Lì, negli anni 60, la cultura pubblicitaria stava cambiando: marchi come Pepsi non pubblicizzavano più il prodotto, ma uno stile di vita e un’identità, la ‘generazione Pepsi’. Rolex applicò questo approccio al mondo degli orologi”, argomenta l’esperto.

Chi sono, dunque, queste “persone eccellenti” a cui Rolex si rivolge? Il target è evoluto nel tempo. “Alla fine degli anni ’50 erano soprattutto politici e militari, uomini di potere. Ma presto l’agenzia pubblicitaria americana disse: questo non fa più sognare nessuno. Così Rolex si rivolse a nuovi modelli: sportivi, imprenditori, più tardi artisti. Quello che oggi è Roger Federer, allora era lo sciatore Jean-Claude Killy”. Una svolta importante arrivò anche con un’impronta più femminile. “Alla fine degli anni ’70 arrivarono le donne: imprenditrici e atlete che incarnavano il successo a modo loro”.

A guidare questa trasformazione è stato André Heiniger, direttore generale dal 1963, non il fondatore Hans Wilsdorf. “Questi voleva fare di Rolex uno degli orologi più precisi, mentre Heiniger voleva elevare il marchio al di sopra di tutti gli altri. Mise il fondatore come figura visionaria al centro e se stesso in secondo piano. In questo modo assicurò continuità: Rolex raccontò per decenni la stessa storia”.

Sorprendentemente, in questa ascesa globale, i nuovi prodotti giocarono un ruolo marginale. “Heiniger puntò sui modelli già esistenti del dopoguerra – Oyster, Datejust, Day-Date e Submariner – e li rese iconici. L’ultima novità significativa fu il cronografo Cosmograph, lanciato nel 1963. In origine, questo orologio era destinato agli astronauti americani. Dopo il fallimento della collaborazione con la Nasa, fu però trasformato in un orologio per piloti automobilistici e riscosse un successo fenomenale con il nome di Cosmograph Daytona”. Anche i fallimenti, seppur pochi, confermano la regola. “Alcuni tentativi di lanciare nuove linee non funzionarono e furono interrotti: non corrispondevano all’immagine che il pubblico aveva di Rolex”.

Ma come fa l’impresa – chiede la giornalista di NZZ – a produrre oltre un milione di orologi all’anno, quindi su scala industriale, e contemporaneamente a trasmettere un’immagine di esclusività? “Grazie al divario tra domanda e offerta”, risponde il professore all’università di Osaka. “In questo modo il desiderio rimane elevato. Rolex si è posizionata fin dall’inizio come ‘lusso accessibile’: più costosa dei prodotti di massa, ma alla portata di chi ha lavorato sodo per guadagnarsela”. Insomma, “Rolex è quasi come una religione: finché le persone ci credono, funziona: ma il mito è anche fragile: troppa trasparenza potrebbe metterlo a repentaglio”, conclude l’accademico romando che lavora in Giappone.

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