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Il blocco di Israele, acque Gaza off limits dal 2009

Keystone-SDA

Israele ha ufficialmente dichiarato un blocco navale su Gaza nel gennaio 2009, durante l'operazione Piombo Fuso. L'obiettivo era quello di limitare la capacità di Hamas di introdurre clandestinamente armi e materiale bellico nella Striscia di Gaza.

(Keystone-ATS) Con l’avvicinarsi della Global Sumud Flotilla alle 12 miglia dalla costa che delimitano le acque territoriali israeliane, l’attenzione torna sulla legittimità dell’atto di Tel Aviv, contestata da diversi osservatori sulla base di normative e convenzioni internazionali.

Già dai primi anni ’90 l’accesso alle acque di Gaza era stato ridotto. Le limitazioni furono poi codificate in seguito agli accordi di Oslo II. Dopo il 7 ottobre 2023, data dell’attacco di Hamas che ha provocato circa mille vittime israeliane, è stato vietato ogni tipo di navigazione, anche quella dei pescherecci della Striscia.

Organizzazioni umanitarie e diversi governi considerano il blocco illegittimo, sottolineando che esso impedisce l’arrivo di aiuti. E nel corso degli anni ci sono stati diversi tentativi di romperlo da parte di attivisti di varie flottiglie. Sempre respinti dall’Idf.

Tragico quello del 31 maggio del 2010, concluso con l’abbordaggio delle imbarcazioni umanitarie a ben 72 miglia dalla costa e l’uccisione di dieci attivisti turchi. Proprio in seguito a quell’episodio, nel settembre 2011 l’Onu realizzò un rapporto che gli israeliani ritengono li legittimi quando afferma che “il blocco navale è stato imposto come legittima misura di sicurezza per impedire che le armi entrino a Gaza via mare e la sua attuazione è conforme ai requisiti del diritto internazionale”.

Lo stesso documento definisce però nello stesso tempo “eccessiva e irragionevole” la decisione di Israele di “abbordare le navi con una forza così consistente a grande distanza dalla zona di blocco”.

Altro documento cui Tel Aviv si appella è il Manuale di San Remo sul diritto internazionale applicabile ai conflitti armati in mare, del 1995, che codifica il blocco navale tra i mezzi ‘consentiti’. Purché però non abbia l’effetto di ridurre la popolazione alla fame, aggiunge il testo. E stabilisce anche che imbarcazioni neutrali non possono essere attaccate fuori dalle acque territoriali, a meno che non si pensi che possano violare il blocco, che è l’obiettivo dichiarato dalla Flotilla. Ma c’è chi contesta che la situazione attuale sia quella di un conflitto armato tra due Paesi.

C’è poi la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare che garantisce il passaggio inoffensivo attraverso le acque territoriali delle imbarcazioni che trasportano aiuti umanitari ed affermano la giurisdizione esclusiva dello Stato di bandiera quando la nave si trova in acque internazionali, vietando qualsiasi intervento armato a bordo da parte di altri Stati. E la Convenzione di Ginevra, che Israele non ha mai firmato, in merito alle vittime di conflitti armati prevede il libero passaggio di materiale sanitario e viveri indispensabili.

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