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Grumpy Economist mette in guardia, “in arrivo ondata inflazione”

Keystone-SDA

Sulla scia dell'aumento della spesa per gli armamenti è in arrivo un'altra ondata di inflazione nei paesi occidentali: l'allarme viene lanciato da John Cochrane, economista statunitense di fama mondiale e docente alla Stanford University.

(Keystone-ATS) Gli investitori già cominciano a perdere fiducia e senza regole chiare cresce il rischio di instabilità. “Gli Stati Uniti e l’Europa devono dimostrare come intendono gestire il debito pubblico”, afferma in un’intervista pubblicata oggi dalla Neue Zürcher Zeitung (NZZ), in cui critica anche i colleghi che considera mainstream: molti vogliono salvare il mondo o il clima, dice.

L’esperto non attribuisce l’impennata inflazionistica partita nel 2021 a fattori quali colli di bottiglia nelle catene di fornitura o errori delle banche centrali, bensì alla gestione insostenibile della spesa pubblica durante il periodo del coronavirus. “La spesa federale americana durante la pandemia è stata di circa 5000 miliardi di dollari”, spiega “e il problema centrale non è tanto l’entità della spesa, bensì l’assenza di un piano credibile per il suo rimborso: non c’era alcuna chiara strategia di ‘prendiamo in prestito ora per restituire dopo’”.

Secondo il professore – che gestisce un celebre blog noto a livello internazionale, “The Grumpy Economist” (l’economista brontolone) – ciò che ha realmente alimentato il rincaro è la mancanza di fiducia degli investitori nei confronti della capacità futura dei governi di ripagare il debito. “Gli investitori hanno venduto titoli di stato preferendo consumare immediatamente, causando un aumento generalizzato dei prezzi”.

Il 67enne sottolinea l’importanza di regole fiscali rigorose e condivise, come quelle in vigore in Svizzera, che hanno permesso al paese di evitare un aumento dell’inflazione comparabile a quello americano o tedesco. “Sono un grande sostenitore dei cosiddetti freni alla spesa, che rassicurano i creditori perché sanno che dopo periodi di uscite elevate seguiranno fasi di risparmio”, afferma.

Riguardo alla dipendenza tra politica fiscale e monetaria, Cochrane ribadisce l’importanza dell’indipendenza delle banche centrali, ma avverte anche che la politica monetaria da sola non basta a contenere l’inflazione, se non è supportata dalla politica fiscale: “L’alta inflazione che abbiamo vissuto è stata un evento di natura fiscale, non monetaria”.

Riguardo ai rischi futuri, l’economista lancia un chiaro monito: “Una nuova ondata di inflazione è molto probabile: stiamo sottovalutando il rischio”. Riprendendo analogie con gli anni ’70, Cochrane suggerisce che errori politici o economici, come nuovi dazi o aumento indiscriminato della spesa, potrebbero riaccendere la corsa dei prezzi. E sulla possibilità di crisi simili a quella che ha colpito la Gran Bretagna nel 2022 con la caduta della premier Liz Truss, l’intervistato commenta: “I ‘bond vigilantes’ sono più vicini di quanto si pensi: quello che è successo in Gran Bretagna potrebbe ripetersi negli Stati Uniti”.

L’accademico è altresì scettico sulla capacità della politica americana di gestire la crisi. “Il sistema della separazione dei poteri negli Usa richiederà tempo per correggere le storture. Il presidente Donald Trump sta usando quel tempo per danneggiare le istituzioni; alle prossime elezioni di midterm si potrebbe però vedere una correzione”. A suo avviso serve una politica fiscale credibile e sostenibile. “Se non affrontiamo il problema del debito in modo serio, rischiamo di perdere il controllo sull’inflazione, con conseguenze drammatiche per l’economia globale”.

E da cosa deriva – chiedono i giornalisti della NZZ – il nome “The Grumpy Economist”? “Spesso mi venivano in mente idee che volevo annotare spontaneamente. Ero frustrato dai programmi di stimolo economico e dai salvataggi bancari durante la crisi finanziaria. Così ho lanciato il blog e avevo bisogno di un titolo accattivante. Un giorno ho letto sul New York Times un commento di Paul Krugman che mi ha davvero infastidito. È così che sono diventato l’economista brontolone. Ma solo a volte, quando leggo gli articoli di Krugman”, precisa.

Ha l’impressione – incalzano i cronisti della testata zurighese – che gli economisti mainstream siano diventati in generale più di sinistra e più politicizzati? “Assolutamente sì”, risponde l’intervistato. “La maggior parte di loro diventa economista perché vuole salvare il mondo. Io sono stato influenzato dall’Università di Chicago. Anche noi vogliamo salvare il mondo, ma chiarendo quali sono gli incentivi e le regole efficaci che aumentano la prosperità, e non come risolvere la disuguaglianza e la crisi climatica. In quest’ultimo caso, si tende a dimenticare rapidamente l’economia e a diventare solo politici. Questo non fa per me”, conclude.

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