Franco come bene rifugio? “Potrebbe rivelarsi gravoso per economia”

Il dollaro è sempre meno bene rifugio, cosa che, in un contesto di maggiore avversione al rischio, potrebbe portare a un ulteriore apprezzamento del franco.
(Keystone-ATS) Lo affermano gli economisti di UBS, secondo i quali lo status della moneta elvetica quale “porto sicuro” potrebbe rivelarsi sempre più gravoso per l’economia.
Dall’inizio di agosto, parte delle esportazioni svizzere verso gli Stati Uniti sono soggette a un dazio doganale del 39%, ricordano gli esperti dell’istituto nella loro pubblicazione periodica Outlook Svizzera, diffusa oggi. Inoltre, dall’inizio dell’anno il franco si è apprezzato di oltre il 10% rispetto al dollaro statunitense. “L’onere per le aziende esportatrici negli Stati Uniti è quindi elevato e le prospettive sono cupe”, si legge nel rapporto.
Una rapida riduzione dell’aliquota doganale è incerta e l’ordine globale delle valute rifugio vacilla, argomentano gli specialisti della banca guidata da Sergio Ermotti. Le incertezze politiche e l’elevato debito pubblico hanno notevolmente indebolito il senso di sicurezza nei confronti del dollaro.
“Se la fiducia nella valuta statunitense dovesse continuare a diminuire, il franco potrebbe diventare ancora più richiesto come bene rifugio, con conseguenze di vasta portata per l’economia elvetica”, mette in guardia l’analista di UBS Maxime Botteron, citato in comunicato, Infatti l’offerta di investimenti sicuri in franchi è molto limitata rispetto ai titoli di stato americani. Un forte afflusso di capitali potrebbe portare a un significativo rafforzamento del franco, mentre il margine per ulteriori riduzioni dei tassi d’interesse è praticamente esaurito.
Lo status di “porto sicuro” della moneta elvetica garantisce tassi d’interesse bassi e, secondo i calcoli di UBS, fa risparmiare alle famiglie e alle imprese circa 28 miliardi di franchi all’anno. Inoltre un franco forte rende più convenienti le importazioni e quindi abbassa i prezzi al consumo. Allo stesso tempo, le aziende esportatrici subiscono una pressione negativa, poiché i prodotti elvetici diventano più costosi all’estero. I vantaggi derivanti da fattori produttivi importati più convenienti compensano solo in parte gli svantaggi. Per la politica monetaria non rimane quasi alcun margine per ulteriori riduzioni dei tassi d’interesse e i risparmiatori devono accontentarsi di rendimenti bassi.
La Banca nazionale svizzera (BNS) si trova di fronte a un dilemma di politica monetaria: i tassi d’interesse sono inferiori di circa 2 punti percentuali rispetto a quelli che sarebbero senza l’effetto “porto sicuro” e il margine di manovra per ulteriori tagli del costo del denaro è limitato. Se la fiducia globale nel dollaro dovesse continuare a diminuire il franco potrebbe apprezzarsi ancora di più, esercitando un’ulteriore pressione sulla BNS affinché intervenga.
Le prospettive economiche dipendono fortemente dall’entità dei dazi statunitensi che saranno applicati agli esportatori elvetici. Anche se le tariffe fossero allineate al livello dell’Unione europea, l’attuale incertezza potrebbe portare a una leggera contrazione dell’economia nella seconda metà dell’anno. Solo nel corso del prossimo anno la crescita dovrebbe superare la fase di debolezza. Gli economisti di UBS prevedono una crescita del prodotto interno lordo (Pil) dell’1,3% nel 2025 e dello 0,9% nel 2026, al netto degli eventi sportivi.
“Se i dazi doganali dovessero rimanere ai livelli attuali, la progressione del Pil potrebbe registrare un calo di circa 0,4 punti percentuali su quattro trimestri”, stima Daniel Kalt, capo economista UBS Svizzera. L’introduzione di tassi negativi come reazione della BNS alle barriere doganali statunitensi appare attualmente improbabile: un tasso guida sotto lo zero ridurrebbe la pressione di apprezzamento sul franco, ma non dovrebbe essere sufficiente a compensare i dazi. Pertanto secondo UBS la BNS dovrebbe per il momento lasciare invariato il suo indicatore di riferimento.
A medio termine sussiste il rischio che il trasferimento di parte della produzione farmaceutica negli Stati Uniti, in risposta ai dazi previsti, possa incidere sensibilmente sulla crescita della Confederazione. Se il trasferimento dovesse protrarsi per cinque anni, ciò potrebbe costare fino a un quarto della crescita prevista. Anche in questo caso, però, l’economia svizzera dovrebbe essere risparmiata da una grave recessione, concludono i professionisti di UBS.