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Le scoperte scientifiche italiane e il mito di Frankenstein

Nel 1818 usciva per una piccola casa editrice londinese la prima edizione di “Frankenstein o il moderno prometeo”. L'autrice Mary Shelley, che scrisse il suo capolavoro a Ginevra, tramutò in narrazione fantastica una serissima serie di dibattiti scientifici nati nelle università italiane.

“Frankenstein” era un romanzo anonimo stampato in sole 500 copie che riportava la prefazione del poeta Percy Bysshe Shelley e una dedica al filosofo William Godwin. Solo nella sua seconda edizione comparve il nome dell’autrice dell’opera, Mary Wollstonecraft Godwin, moglie di Shelley e figlia di Godwin. 

“Frankenstein è una metafora di ciò che la scienza, svincolata da un controllo della razionalità, potrebbe provocare”

Il libro era stato concepito in una tempestosa notte di una cupa estate del 1816 in Svizzera, sul lago di Ginevra, dove Percy e Mary Shelley si trovavano in compagnia del poeta Lord Byron e del medico e scrittore John William Polidori. L’inquietante storia del dottor Frankenstein, capace di riportare in vita un uomo morto, divenne ben presto il fondamento di un immaginario romantico e gotico e più tardi un mito fondativo della letteratura e del cinema horror. 

Tra Spallanzani, Galvani e Volta

Ma la storia del medico che sfida la morte con esiti imprevedibili era ben più di una fantasia nata in una notte di burrasca in riva al lago. Secondo Paolo Mazzarello, professore di Storia della Medicina all’Università di Pavia e scrittore, Mary Shelley tramutò in narrazione fantastica una serissima serie di dibattiti scientifici nati nelle università italiane. Alla fine del ‘700 Lazzaro Spallanzani proprio a Pavia, esplorava i confini delle scienze documentando anche delle “resurrezioni” di micro-organismi. Pochi anni dopo Luigi Galvani scienziato a Bologna e Alessandro Volta, fisico all’Università di Pavia, discussero e si confrontarono sull’esistenza di un’elettricità animale presente nei corpi. Dibattiti che stregarono gli intellettuali dell’epoca e ispirarono la letteratura romantica. 

Spallanzani divenne, suo malgrado, l’archetipo dello scienziato pazzo nel racconto “Der Sandmann” di E.T.A. Hoffmann e il dibattito sull’elettricità dei corpi sarà una delle suggestioni che ispirerà la creatura del dottor Frankenstein. Il romanzo di Mary Shelley, secondo Mazzarello, tocca però alcuni temi attuali oggi come 200 anni fa: «Frankenstein potrebbe anche essere ritenuta una metafora di ciò che la scienza, svincolata da un controllo della razionalità potrebbe provocare. Ci spinge anche a paragoni con i rischi di degenerazione della scienza e quello che la scienza ha prodotto come i cambiamenti climatici, l’inquinamento e le armi nucleari. Mary Shelly aveva così in parte intuito le potenzialità oscure presenti nello sviluppo scientifico. Ma c’è alla base anche un messaggio positivo, quello che la scienza illumina lo sconosciuto e aumenta la possibilità di comprensione del mondo».

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