Caso Epstein, Starmer cede e silura ambasciatore in Usa

Cade la testa di lord Peter Mandelson, ambasciatore britannico negli Usa di nomina politica e controversa figura chiave del Labour da almeno tre decenni.
(Keystone-ATS) Il 71enne è stato travolto dalle rivelazioni a scoppio ritardato sulle strette frequentazioni di un tempo con il defunto faccendiere-pedofilo americano Jeffrey Epstein.
Il suo destino si è consumato in poche ore, dopo che ancora ieri Keir Starmer aveva tentato inopinatamente di difenderlo in Parlamento, salvo ritrovarsi obbligato a silurarlo oggi sulla scia di un nuovo scandalo che minaccia di esporre il premier laburista a sospetti d’insabbiamento e a un tracollo ulteriore di consensi in patria, nonché a un imbarazzante nodo da risolvere nei rapporti con Donald Trump.
La rimozione “con effetto immediato” dell’uomo seduto sulla poltrona di gran lunga più significativa della diplomazia del Regno è stata annunciata in un stringato comunicato del Foreign Office. Alla luce delle ulteriori informazioni sulle email scritte da Peter Mandelson, il primo ministro – vi si legge – ha chiesto alla ministra degli Esteri (Yvette Cooper) di ritirarlo come ambasciatore. Queste email mostrano una relazione più ampia e profonda fra Mandelson ed Epstein di quanto non sapessimo al tempo della sua nomina: in particolare riguardo al “suggerimento” rivolto nel 2008 dal primo al secondo di resistere alla giustizia americana nell’ambito di un primo processo per lo sfruttamento di ragazze minorenni in Florida conclusosi peraltro con una condanna incredibilmente mite inflitta all’allora ancor influente miliardario sodale di vip e potenti.
Parole che cercano di sottrarre il capo dell’esecutivo dall’accusa d’aver riciclato per una carica cruciale un personaggio già chiacchieratissimo. Ma che non placano le polemiche dei media, mentre viene fuori che i servizi di Sua Maestà avevano espresso riserve sulla nomina; e alimentano la furia delle opposizioni: scaricatasi alla Camera dei Comuni su uno dei vice della neoministra Cooper, spedito a rispondere a interrogazioni di fuoco e alla sollecitazione di “un’inchiesta” ad hoc per stabilire cosa sir Keir sapesse davvero quando designò l’amico lord.
Contestazioni analoghe a quelle innescate appena una settimana fa dal caso di Angela Rayner, la vicepremier costretta a dimettersi per aver pagato meno tasse del dovuto sull’acquisto di una casa al mare. “Mandelson alla fine se ne va come Rayner – ha tuonato la leader conservatrice Kemi Badenoch -, ma Keir Starmer ha dimostrato ancora una volta di non avere spina dorsale. E vi sono interrogativi gravi a cui deve rispondere”.
La posizione di Mandelson – estratto l’anno scorso dal cilindro del premier come plenipotenziario a Washington per garantire la ‘special relationship’ anche con Trump – era del resto denunciata dalla stampa come insostenibile da giorni, sulla scia delle nuove denunce rimbalzate dagli Usa sulla vicenda Epstein.
Già eminenza grigia del New Labour di Tony Blair e più volte ministro al centro di scandali, lord Mandelson non è d’altra parte un comprimario nei palazzi che contano dell’isola: veterano di governo gradito all’establishment nella sua veste di lib-lab amico di ricchi e famosi in giro per il mondo, machiavellico “Principe delle Tenebre” del potere nell’immagine dei suoi nemici giurati della sinistra interna al partito, ex commissario europeo e sostenitore strenuo della permanenza nell’Ue al tempo del referendum sulla Brexit, era stato ripescato come consigliere e poi ambasciatore da Starmer dal cimitero degli elefanti della Camera dei Lord: a dispetto delle ombre ben note d’una biografia nella quale l’affaire Epstein faceva capolino da anni tra gli scheletri peggiori del suo armadio.
Un bubbone esploso definitivamente in faccia al primo ministro sull’onda del flusso di nuovi file filtrati ora dall’America. Come quello da cui è emerso che egli incoraggiò “Jeffrey” a “combattere” contro la giustizia ai tempi della condanna del 2008. “Allora credevo nella sua innocenza”, è tornato a difendersi Mandelson, ripetendo d’essere stato “ingannato” da colui al quale nel 2003 aveva inviato un allusivo biglietto d’auguri di compleanno evocando legami da “best pals” (migliori amici). Ma senza apparire convincente su questo, né sulle ulteriori rivelazioni riguardanti intrecci di favori fra affari e consulenze con Epstein, che lo chiamava vezzosamente ‘Petie’ e lo ha a lungo considerato il suo miglior contatto britannico assieme al principe Andrea.