A un anno dal massacro del 7 ottobre, la Svizzera è divisa
(Keystone-ATS) A un anno dal sanguinoso attacco terroristico perpetrato da Hamas contro Israele il 7 ottobre e dalla successiva rappresaglia dello Stato ebraico a Gaza e in Libano, sulla questione palestinese e sulla situazione in Medio Oriente la Svizzera appare più che mai divisa.
In Svizzera, come in moltissimi Paesi occidentali, l’attacco terroristico del 7 ottobre e il lungo e logorante conflitto che ne è scaturito ha avuto ripercussioni a livello sociale e politico. Nella Confederazione da allora il numero di episodi catalogati come atti antisemiti è cresciuto drasticamente, come rivelano i rapporti stilati della Federazione svizzera delle comunità israelite (FSCI) e della Fondazione contro il razzismo e l’antisemitismo (GRA).
L’atto più violento è stato registrato il 2 marzo a Zurigo, quando un 15enne radicalizzato ha gravemente ferito con un’arma da taglio un 50enne ebreo ortodosso. Secondo la FSCI e la GRA, si tratta del più grave crimine d’odio antisemita compiuto nel Paese negli ultimi due decenni.
Nel corso degli ultimi mesi si è poi assistito a diverse manifestazioni filopalestinesi, che hanno occupato piazze e atenei, e che hanno coinvolto migliaia di persone e centinaia di studenti in tutta la Svizzera.
Sul fronte politico, il Consiglio federale ha deciso di non versare quest’anno ulteriori 10 milioni di franchi all’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi in Medio Oriente (UNRWA).
Una sostegno in favore di Israele?
Geri Müller, ex consigliere nazionale argoviese dei Verdi e presidente dell’Associazione Svizzera-Palestina, ha dichiarato all’agenzia di stampa Keystone-ATS che la Confederazione ha assunto fin da subito una posizione unilaterale in favore di Israele, “ignorando numerose zone grigie”, come ad esempio le operazioni dell’esercito israeliano.
“Berna continua a ripetere che vuole la soluzione dei due Stati, e allo stesso tempo il Parlamento si rifiuta di riconoscere la Palestina”, afferma Müller. “Dal 1899 la Svizzera ha chiaramente proclamato la posizione del diritto internazionale, ma sostiene il diritto biblico di Israele”, aggiunge.
La Confederazione dovrebbe invece “riconoscere i crimini di Israele e interrompere ogni cooperazione, soprattutto in ambito militare”, sostiene il 63enne, ricordando che l’Associazione Svizzera-Palestina ha condannato aspramente il massacro perpetrato da Hamas ai danni dello Stato ebraico.
Autodifesa giustificata
Corina Eichenberger-Walther, a capo dell’Associazione Svizzera-Israele ed ex consigliera nazionale per il PLR, sostiene da canto suo che i recenti sviluppi nella regione mostrano chiaramente come l’Iran stia cercando di annientare Israele, e che la repubblica islamica rappresenta una minaccia a livello globale.
“Lo stato ebraico sta esercitando il suo diritto all’autodifesa”, afferma. “Hamas è l’aggressore e non Israele. E questo lo si ha dimenticato nelle università occupate e durante le manifestazioni nelle piazze a favore della Palestina. Si sono visti ripetuti appelli alla violenza”, ammonisce l’ex consigliera nazionale argoviese.
Alla domanda se una tregua in Medio Oriente sia possibile, Eichenberger-Walther risponde così: “Ripensando a tutte le occasioni in cui credevamo di essere ad un passo dal raggiungere un accordo, ora trovo difficile fare supposizioni. Solo quando le armi taceranno potremo guardare di nuovo al futuro”.
Per Müller, la pace è sinonimo di uguaglianza. “Israele ha chiaramente deciso di favorire l’apartheid e l’espulsione”, afferma. La democrazia non esiste alle condizioni attuali. Per questo sono necessari passi concreti verso un cambiamento duraturo”. Müller ha poi voluto ricordare la dichiarazione del Primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, il quale a suo tempo ha affermato che “abbiamo bisogno di Hamas per impedire la soluzione dei due Stati”.
Una conferenza organizzata dalla Svizzera
Ma non tutte le organizzazioni ebraiche in Svizzera sostengono la politica di Israele. Per l’associazione “Jüdische Stimme für Demokratie und Gerechtigkeit in Israel/Palästina” (JVJP, letteralmente “Voce ebraica per la democrazia e la giustizia in Israele/Palestina”), la guerra di rappresaglia sta portando la regione al collasso. Solo una soluzione politica può portare una pace duratura in Medio Oriente, sostiene l’associazione con sede a Zurigo.
La JVJP vede un barlume di speranza nella conferenza che organizzerà la Svizzera su mandato dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per la risoluzione sulla Palestina.
La FSCI invece non ha voluto rilasciare commenti e non intente essere citata nel medesimo articolo in cui compaiono le opinioni di Geri Müller, personalità che la federazione reputa vicino ad Hamas.