La televisione svizzera per l’Italia

È morto a 93 anni l’attore francese Philippe Leroy

Keystone-SDA

(Keystone-ATS) Si è spento ieri sera a Roma a 93 anni Philippe Leroy, per decenni uno dei volti più noti del cinema e della TV italiana, paese che lo aveva “adottato” all’inizio degli anni Sessanta.

Nato a Parigi il 15 ottobre 1930 in una famiglia nobile (il padre, diplomatico, era marchese), nel 1952, dopo la laurea in scienze politiche, Leroy abbandonò un destino garantito per andare a combattere come sottotenente paracadutista prima in Vietnam e poi in Algeria; visse quindi per qualche tempo negli Stati Uniti. Tornato in patria, esercitò mestieri assai diversi finché, in qualità di amministratore della pubblicità della rivista “La cinématographie française” ebbe modo di entrare in contatto con il mondo del cinema.

Leroy conobbe così Jacques Becker, che nel 1960 lo scritturò per “Il buco”, nel suo primo ruolo da duro: un detenuto che tenta la fuga dal carcere, un criminale, ma umano e pieno di dignità. Seguirono altre interpretazioni in Francia, ma, soprattutto, dal 1961 prese a lavorare prevalentemente in Italia, dove partecipò subito a due film che esemplificano i suoi principali ruoli futuri: “Caccia all’uomo” di Riccardo Freda, in cui interpreta un bandito ricercato e poi catturato dalla polizia; “Leoni al sole” di Vittorio Caprioli, liberamente ispirato al romanzo “Ferito a morte” di Raffaele La Capria.

Da allora, sia nei film commerciali sia in quelli d’autore, e anche nelle numerose produzioni televisive (cui prese parte sin dai primi anni Settanta), l’attore alternò parti di cattivo puro con altre di aristocratico decadente: dal pilota borghese tradito dalla moglie di “Una donna sposata” (1964) di Jean-Luc Godard, al ‘professore’, membro di una gang internazionale che svaligia una banca svizzera di “Sette uomini d’oro” (1965) di Marco Vicario, film campione d’incassi che gli regalò una grande popolarità.

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