‘La Cina non rappresenta Taiwan’, l’ira di Pechino
(Keystone-ATS) La Repubblica di Cina, il nome ufficiale di Taiwan, e la Repubblica popolare cinese “non sono subordinate l’una all’altra” e Pechino “non ha il diritto di rappresentare” Taipei.
Il presidente dell’isola ribelle, William Lai, ha inviato un messaggio fermo all’indirizzo della leadership comunista nel primo discorso per la Festa Nazionale da quando è salito al potere lo scorso 20 maggio, scatenando l’inevitabile ira del Dragone tra accuse di “ostinata ricerca dell’indipendenza” e di “provocazioni che porteranno al disastro”.
Lai, parlando sotto un cielo grigio di fronte all’Ufficio presidenziale per i 113 anni della Repubblica di Cina, ha rivendicato “democrazia e libertà” che prosperano a Taiwan e, in risposta alla crescente pressione militare e politica cinese, ha giurato di “resistere all’annessione o all’invasione” della sovranità facendo leva sulla democrazia, importante “per dimostrare la forza della deterrenza e per garantire la pace attraverso la forza”.
L’ex chirurgo, 65 anni, ha avuto poi parole distensive e ha espresso la volontà di collaborare con Pechino su varie sfide globali, tra cambiamento climatico e pandemie. Sulle crisi in Medio Oriente e Ucraina, ha invitato il Dragone ad essere “all’altezza delle aspettative della comunità internazionale” e ad usare “la sua influenza” per favorire le soluzioni.
Rispetto all’intervento inaugurale di maggio, quando Lai disse che l’ambizione della Cina di invadere Taiwan “non è scomparsa”, gli analisti hanno rilevato toni più misurati. “È il discorso più pragmatico, equilibrato e oserei dire in stile Tsai (ing-wen, l’ex presidente di Taiwan, ndr) che Lai abbia mai fatto”, ha scritto su X Lev Nachman, professore di scienze politiche alla National Taiwan University.
Sarà pure, ma nel frattempo, le accuse di Pechino all’indirizzo di Lai si sono moltiplicate: “Ha messo in luce la sua posizione ostinata sull’indipendenza di Taiwan e la sua intenzione di aumentare le tensioni nello Stretto di Taiwan per interessi politici personali”, ha tuonato la portavoce del ministero degli Esteri, Mao Ning, notando che l’isola “non è mai stata un Paese e non potrà mai diventarlo”. Le provocazioni “del leader di Taiwan porteranno al disastro”, ha rincarato Chen Binhua, portavoce dell’Ufficio per gli Affari di Taiwan del governo cinese.
Pertanto, c’è da attendersi una reazione del Dragone ipotizzabile in quattro modi diversi: critiche retoriche, sanzioni economiche contro Taipei, pressing militare e mobilitazione dei Paesi partner per criticare “la provocazione di Taiwan” contro lo status quo. “Pechino ha il controllo dell’escalation e potrebbe essere tentata di aumentare la tensione militare nelle prossime settimane”, ha notato sul punto Wen Ti-sung, del Global China Hub dell’Atlantic Council, in un post su X.
Secondo i dati del ministero della Difesa taiwanese, la Cina ha schierato 78 aerei e 36 navi da guerra in aree vicine all’isola dal 6 ottobre, in risposta ai commenti di Lai per il quale è impossibile per la Repubblica popolare, che il primo ottobre ha celebrato i suoi 75 anni, “essere la madrepatria della Repubblica di Cina”, che di anni ne ha 113. Un affronto per Pechino, maturato appena pochi giorni dopo che il presidente Xi Jinping aveva definito Taiwan “territorio sacro della Cina”, assicurato opposizione “risoluta” all’indipendenza e definito “la riunificazione completa” come “l’aspirazione comune di tutti i cinesi in patria e all’estero”. E nessuno, aveva ammonito, “può fermare la ruota della storia”.