“Maduro rieletto”, l’opposizione denuncia brogli
(Keystone-ATS) La comunità internazionale non ci sta.
La proclamazione della vittoria di Nicolas Maduro per il terzo mandato presidenziale in Venezuela contro il candidato dell’opposizione Edmundo Gonzalez Urrutia – 51,2% contro il 44,02% con l’80% delle schede scrutinate – puzza di brogli e stavolta l’intenzione è di vederci chiaro. Il risultato – formato nell’oscurità di scrutini segreti, con un ritardo di ore, tra accuse farneticanti del governo di Caracas di nuove trame di “potenze straniere” e “di sicari politici di ultradestra specializzati nella destabilizzazione dei governi della regione” – convince solo i Paesi alleati del socialismo bolivariano: Nicaragua, Cuba, Iran, Russia, Cina e Honduras, che si sono precipitati a congratularsi col presidente (al governo dal 2013) per il suo nuovo mandato, fino al 2030.
L’opposizione contesta il risultato e nel pomeriggio esplodono le prime proteste a Caracas: i cacerolazos battono su pentole e padelle per esprimere il proprio dissenso a Petare, il più grande quartiere operaio dell’America Latina, ex roccaforte chavista, e in altre zone della capitale, mentre si sentono grida in cui si chiede “Libertà. Libertà”, e si bruciano le foto del capo di Stato. A Catya invece, manifestanti protestano per la presenza della polizia, mentre il Paese appare destinato ad un giro di vite autoritario.
Nella sua prima conferenza stampa, Maduro ha sparato ad alzo zero denunciando un tentativo di colpo di stato da parte di chi lo voleva “mitragliare in piazza”, ma “li abbiamo arrestati”. Dall’altra parte, di fronte alle proteste della leader anti-chavista Maria Corina Machado – messa sotto inchiesta per frode elettorale – e dell’ex ambasciatore Edmundo Gonzalez Urrutia, portabandiera della Piattaforma unitaria democratica, che affermano di aver vinto “col 70% secondo sondaggi e studi in loro possesso”, è arrivata forte dal mondo occidentale la richiesta di un riconteggio indipendente.
Washington è stata tra i primi ad esprimere “dubbi” sul risultato emerso dalle urne. Lo ha fatto per bocca del segretario di Stato Antony Blinken in una dichiarazione proprio mentre Maduro festeggiava la sua riconferma tra spettacoli di droni (regalati da Pechino), fuochi artificiali e note di salsa, al grido di “i fascisti non passeranno” e i ringraziamenti al suo mentore, il comandante eterno Hugo Chavez (di cui il 28 luglio ricorrevano i 70 anni dalla nascita).
Qualche ora prima – mentre i risultati tardavano ad arrivare e si facevano sempre più insistenti le voci di brogli – la vicepresidente Usa Kamala Harris aveva richiamato al “rispetto della volontà dei venezuelani”. Con lei altri sette Paesi latinoamericani, tra cui l’Argentina di Milei, preso di mira nel comizio presidenziale davanti a Palazzo Miraflores con cori da stadio sullo slogan “Milei immondizia, sei la dittatura”. Un’indignazione di fronte allo scenario rimbalzato da Caracas, con le milizie motorizzate chaviste sguinzagliate per le strade della città per seminare paura tra i sostenitori dell’opposizione, che ha visto un crescendo di contestazioni internazionali.
Dall’Italia il ministro degli Esteri, Antonio Tajani si è detto “perplesso sulla regolarità del voto”, mentre l’Alto rappresentante dell’Unione europea, Josep Borrell, ha chiesto “piena trasparenza”, così come hanno fatto le Nazioni Unite, in una dichiarazione su cui l’Ungheria ha messo il veto. Reazioni sono arrivate anche dal presidente cileno progressista, Gabriel Boric, mentre il Perù di Dina Boluarte ha richiamato per consultazioni il suo ambasciatore a Caracas “di fronte al gravissimo annuncio ufficiale delle autorità elettorali venezuelane”.
I governi di Argentina, Costa Rica, Ecuador, Guatemala, Panama, Paraguay, Uruguay, Perù e Repubblica Dominicana, in un comunicato congiunto, hanno chiesto il “riconteggio dei voti alla presenza di osservatori elettorali indipendenti”, sollecitando una “riunione urgente del Consiglio permanente dell’Organizzazione degli Stati americani per emettere una risoluzione di salvaguardia della volontà popolare”. Più caute sono invece apparse le due superpotenze economiche della regione, il Brasile di Lula e il Messico di Lopez Obrador, in attesa delle conclusioni degli osservatori internazionali. Caracas intanto appare sospesa e silenziosa e mentre Maduro incoronato ufficialmente si proclama “perseguitato” dagli schermi delle tv pubbliche, Maria Corina Machado promette: “Lotterò affinché prevalga la verità”.