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Youssef Nada e gli anni di collera

un uomo cammina sulla strada
© Keystone / Gaetan Bally

Il bizzarro caso di Youssef Nada e il ruolo della Svizzera nella "guerra al terrore". Una retrospettiva.

Sovrasta il lago di Lugano in una zona calma e appartata, villa Nada. La vista è mozzafiato, e spazia dalla città fino al monte San Giorgio, dirimpetto invece si staglia maestoso il San Salvatore.

Youssef Nada ci fa accomodare nel suo studio, i dossier sono già stipati sulla scrivania. Ultimamente li ha sfogliati molto: atti di indagine, documenti ufficiali di diversi Paesi, articoli di giornale, estratti bancari. Nada li mostra volentieri, e lo fa spesso, visto che in occasione del ventesimo anniversario degli attentati alle Torri gemelle molti giornalisti hanno voluto ritornare sull’argomento, anche se ormai gli risulta un po’ più difficoltoso di un tempo, a causa dell’età.

Cos’ha a che fare un novantenne con il più cruento atto di terrorismo della storia recente? Niente, come ha potuto essere appurato di recente. Ma nell’ottica di allora: tutto.

Youssef Nada nella sua casa a Campione d Italia.
Youssef Nada nella sua casa a Campione d’Italia. Giannis Mavris/swissinfo.ch

A distanza di un mese circa dall’11 settembre 2001 iniziarono i primi bombardamenti in Afghanistan. Gli Stati Uniti e i loro alleati si erano messi sulle tracce non soltanto dei terroristi in Asia centrale, ma anche dei loro sostenitori un po’ ovunque nel mondo. E nel mirino erano inevitabilmente finiti soprattutto i finanziatori nell’ombra, fra cui pure Youssef Nada, il suo istituto bancario Al Taqwa e altre persone del suo entourage. L’accusa mossa nei suoi confronti: sostenere Osama bin Laden e Al-Qaida.

Il 7 novembre 2001 la sua banca a Lugano e la villa nella vicina località di Campione d’Italia furono prese d’assalto. Mentre Nada discuteva con il procuratore e la polizia, che stava perquisendo ogni centimetro quadrato della sua residenza in presenza della famiglia, in un discorso tenutoCollegamento esterno in Virginia il presidente statunitense George W. Bush pronunciava le seguenti parole: “Al Taqwa è un’associazione di banche offshore e istituti di gestione finanziaria che hanno aiutato Al-Qaida a trasferire denaro in tutto il mondo.” Ci sarebbero “prove solide e attendibili” a sostegno di questa affermazione.

Youssef Nada rievoca quel periodo con un misto di indignazione e incredulità. “Quel che stava succedendo era assolutamente pazzesco.” Il presidente degli Stati Uniti aveva appena dichiarato davanti alle telecamere che la sua banca era uno dei due principali finanziatori di bin Laden e Al-Qaida. “Per me questa accusa formulata pubblicamente fu molto peggio di tutti i problemi sorti in seguito.”

Diplomazia nell‘ombra

Nella vita di Youssef Nada due aspetti si rivelano cruciali. Innanzitutto la sua attività economica: nato ad Alessandria d’Egitto nel 1931, fece fortuna dapprima con la produzione e il commercio di latticini nel suo Paese natale e in seguito investì i ricavi nel mattone. A partire dagli anni 1960 un affare assai redditizio: con la decolonizzazione affluirono infatti molti petrodollari nella ricostruzione dei neocostituiti Stati e l’edilizia viveva un vero boom. “Nella zona del Mediterraneo mi chiamavano il re del cemento”, ricorda Nada in un alternarsi di orgoglio e nostalgia. All’apice del successo gestiva cantieri in 25 Paesi diversi.

“Sono fiero di far parte dei Fratelli musulmani. Non ne ho mai fatto mistero, né oggi né allora.”

Youssef Nada

Più tardi entrò nel settore bancario, il suo istituto Al Taqwa operava con clientela islamica e aprì delle filiali a Lugano, nel Liechtenstein e alle Bahamas. Durante la grave crisi asiatica della fine degli anni 1990 la banca accusò forti perdite.

Il secondo aspetto è la sua appartenenza in Egitto ai Fratelli musulmani. Già all’età di 17 anni aderì al movimento politico-religioso ramificato in tutta l’area islamica. In alcuni Paesi la formazione è parte del governo, in altri agisce piuttosto dietro le quinte. Molto influente, nei suoi quasi cento anni di esistenza l’organizzazione ha però subito anche molta repressione. Il giovane Nada ne fece le spese sulla propria pelle quando ancora studente venne incarcerato a causa della sua appartenenza. Passò due anni in cattività.

Poco dopo lasciò l’Egitto, ma rimase sempre in contatto con i Fratelli. “Sono fiero di far parte dei Fratelli musulmani. Non ne ho mai fatto mistero, né oggi né allora”, afferma Nada.

Nada è un interlocutore carismatico, garbato e cortese, distinto nell‘aspetto. Non sorprende quindi che nel corso degli anni i Fratelli vi abbiano ripetutamente fatto capo per le sue doti di mediatore.  Come grosso industriale instaurò ben presto contatti con la sfera politica: fece la conoscenza di notabili, membri di case reali, alti funzionari. Durante la sua vita ottenne la cittadinanza onoraria di svariati Paesi musulmani, più tardi anche quella italiana. Quando i Fratelli musulmani volevano far passare un messaggio entrava in gioco Nada: in Iraq parlò con Saddam Hussein, in Iran con gli insorti e in Afghanistan con i signori della guerra.

E Nada sapeva fare anche gli onori di casa, tanto che alcuni giornali insinuarono che la sua villa era diventata il ministero degli esteri non ufficiale dei Fratelli musulmani. Una cosa è certa: a Campione Nada ricevette molte personalità influenti, perlomeno dai Paesi musulmani, dal Maghreb alla Malesia. Le foto private appese alle pareti di casa testimoniano la sua caratura diplomatica. Molti dei suoi incontri sono descritti nella sua biografia autorizzata. Seduto sul divano con il Ceresio alle spalle, afferma malinconico: “Ho vissuto una vita movimentata.”

“Finanziariamente distrutto”

Ma a partire dall‘autunno 2001 la sua villa si trasformò in una prigione – di lusso, senza dubbio, ma comunque imposta. Dal 9 novembre 2001, due giorni dopo il raid, il suo nome comparve su una lista di presunti terroristi delle Nazioni Unite. In seguito a una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’ONU nei confronti di persone e organizzazioni con legami con “Osama bin Laden, il gruppo Al-Qaida o i Talebani” diventò un fuorilegge internazionale.

carabinieri durante una perquisizione a casa di Youssef Nadas
Carabinieri durante la perquisizione della villa di Youssef Nada il 7 novembre 2001. Keystone / Jo Locatelli

Gli Stati devono attenersi a queste risoluzioni, anche la SvizzeraCollegamento esterno. Sono tenuti a congelare tutti i mezzi finanziari, per chi compare sulla lista vige un divieto di spostamento. Siccome la villa di Nada si trova a Campione, un’enclave italiana in territorio svizzero, negli anni che seguirono fu praticamente confinato agli arresti domiciliari su un fazzoletto di terra di appena un chilometro quadrato.

Le misure restrittive furono ancora più pesanti sul piano finanziario: “Da un giorno all’altro non potevo più disporre del mio denaro.” La sua banca venne liquidata, si ritrovò a non poter più sopperire alle spese correnti, pagare gli studi ai figli. Nada non vuole rivangare ulteriormente questo periodo così traumatico per la sua famiglia. Conclude tuttavia senza mezzi termini: “Finanziariamente sono stato distrutto.” Moralmente però no, ribadisce con enfasi.

In tutta questa vicenda una condanna comminata in Egitto sembra una notizia marginale: “Ero stato accusato da Hosni Mubarak di aver sostenuto organizzazioni terroristiche con 100 milioni.” Nada scoppia a ridere. “Che assurdità!” A parte il fatto che allora non aveva ancora accesso ai suoi conti. Non ha nessuna importanza: nel 2007 Nada venne condannato in absentia da un tribunale militare a dieci anni di reclusione.

L’atto conclusivo di questa vicenda fu scritto il 23 settembre 2009: dopo otto anni Youssef Nada fu ufficialmente stralciato dalla lista di terroristi delle Nazioni UniteCollegamento esterno. Al riguardo non vi fu nessuna udienza, nessuna motivazione. E neppure delle scuse.

A dispetto degli anni di indagini legali e dell’intelligence condotte contro di lui in diversi Stati, non fu mai pronunciata un’accusa in relazione alla fatale lista nera dell’ONU. Una soddisfazione tardiva giunse nel 2012 quando la Corte europea dei diritti umani concluse all’unanimità che con la sua rigida applicazione delle risoluzioni dell’ONU la Svizzera aveva violato la Convenzione europea dei diritti umani CEDU. Un buon decennio dopo l’11 settembre, il procedimento della Corte EDU era l’unica causa giudiziaria in re Nada.

“Vivo come un prigioniero” – abbiamo incontrato Youssef Nada nel 2008 nella sua residenza di Campione:

Altri sviluppi

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“Vivo come un prigioniero”

Questo contenuto è stato pubblicato al Costretto a liquidare le sue società a Lugano e profondamente amareggiato, Nada intende ora rivolgersi alla Corte dei diritti umani di Strasburgo. Da quando ha dato inizio alle sue attività finanziarie a Lugano, nel 1970, Youssef Nada risiede in una lussuosa villa situata sopra Campione, l’enclave italiana nel canton Ticino. Dalla sua residenza, decorata all’interno…

Di più “Vivo come un prigioniero”

Media riconoscenti

La vicenda ebbe un’enorme risonanza nell’opinione pubblica – la trama era imbattibile: un ricco industriale egiziano, fedele ai Fratelli musulmani, che gestiva una banca islamica in Svizzera e dalla sua appartata villa in una misteriosa enclave italiana influenzava il corso della politica mondiale. E che nell’ombra agiva da finanziatore di Osama bin Laden e dei suoi seguaci terroristi. I media vi si gettarono a capofitto.

Come avrebbero potuto resistere? Dopo tutto, Nada era stato accusato di finanziare il terrorismo niente poco di meno che dalle più alte sfere della politica americana. L’argomento avanzato dalle autorità statunitensi secondo cui dietro gli attentati dell’11 settembre doveva nascondersi una vasta rete di simpatizzanti finanziariamente forti fu riproposto in tutte le salse. I media avevano diffuso le voci secondo cui Al-Qaida e Osama bin Laden disponevano di un sistema finanziario globale altamente complesso per finanziare le loro attività. E la narrazione dei “banchieri della guerra santa” (rivista “Cash” del 16.11.2001) – fra i quali era annoverato anche Youssef Nada – calzava a pennello.

I pochi mezzi resisi effettivamente necessari per l‘attacco terroristico che in tutta probabilità ha avuto l’impatto più significativo della storia, oggi hanno un non so che di assurdo: nel 2004 il rapporto d’indagine statunitense sull’11 settembre ha concluso che per gli attacchi Al-Qaida spese circa mezzo milione di dollarCollegamento esternoi. Alla luce delle conseguenze, una somma assolutamente irrisoria.

Nel clima acceso instauratosi dopo gli attentati e con la stampa sul piede di guerra, Nada affrontò i media e rilasciò molte interviste: “Non ho mai cercato visibilità, ma dovevo difendere il mio nome.” Prova ancora rancore verso alcuni giornalisti che hanno voluto emergere sulla sua pelle.

Un caso emblematico fu del documento comparso durante la perquisizione della sua residenza e pubblicato su alcuni media con il nome in codice “The Project”. Secondo la stampa si trattava di un piano strategico segreto dei Fratelli musulmani per infiltrarsi in Occidente. Per Nada si trattò non soltanto di un’assurdità, ma anche di una calunnia deliberata. “In vita mia ho ricevuto migliaia di lettere, questa l‘hanno trovata in una pila di carte quando hanno passato al setaccio la mia casa. E i Fratelli musulmani dovrebbero esserne responsabili?”

Nada cerca la traduzione ufficiale della polizia federale, dove si legge che il documento è stato redatto nel 1982, non è stato firmato e non menziona neppure l’autore. “Però ovviamente è stato messo in relazione con i Fratelli musulmani. Non poteva essere altrimenti.” Ci si allineò così alla narrazione di tutti i successivi governi militari egiziani, secondo cui i Fratelli – la maggior forza di opposizione – sarebbero un’organizzazione terroristica.

Come mai riveste tanta importanza per lui? Anche nella sua biografia autorizzata l’episodio di quel documento trova molto spazio. “Si è voluta rafforzare l’impressione che ci fosse un piano di massima per islamizzare l‘Europa”, ci spiega Nada. Salta all’occhio come certi giornalisti – e li cita per nome – abbiano cavalcato quest’onda con impeto. “Deve sapere che queste accuse sono state divulgate a destra e a manca e numerose agenzie di intelligence in tutta Europa le hanno riprese.”

Un’altra accusa è ben più grave: un giornalista del quotidiano italiano Corriere della Sera scriveva già nel anni 1990 che Nada aveva finanziato i palestinesi di Hamas. Stando alle sue stesse dichiarazioni il giornalista aveva legami con l‘FBI e durante le testimonianze giurate dinanzi alle autorità statunitensi aveva messo esplicitamente in relazione il nome di Youssef Nada e della sua banca con il finanziamento del terrorismo. Nada ne conclude che i martellanti articoli sulla stampa – generosamente ripresi da numerosi altri media – condizionarono i servizi segreti americani e in seguito fornirono le basi per il suo presunto legame con Al-Qaida.

Prove al riguardo non ce ne sono. A tutt’oggi non è dato di sapere su quali informazioni i servizi segreti americani abbiamo basato le loro valutazioni. È invece verificabile che già negli anni 1990 l’Italia stava indagando contro la banca Al Taqwa. Un rapporto di avvertimento dell’unità italiana antiterrorismo del 1995 finì alla procura federale e in seguito anche i media ne parlarono. Al Taqwa vi figurava come “la principale struttura finanziaria dei Fratelli musulmani” e delle relative “organizzazioni estremiste islamiche”. Tuttavia Nada non fu mai accusato di finanziare il terrorismo neppure in Italia, né prima né dopo l’11 settembre. Con il Corriere della Sera fu implicato per anni in procedimenti giudiziari per diffamazione. Nel 2011 ottenne finalmente giustizia e un risarcimento finanziario.

Nada ricorda di essere stato attaccato ripetutamente durante campagne diffamatorie contro i Fratelli. Per lui non ci sono dubbi: “In tutta questa vicenda si è trattato di una decisione politica per togliermi di torno e screditare i Fratelli musulmani.” Lascia intendere di sapere chi sono i mandanti. Ma su chi esattamente abbia degli interessati al riguardo preferisce non esprimersi.

A caccia

Chi è amico? Chi è nemico? Dopo gli attentanti dell’11 settembre 2001 il presidente americano George W. Bush coniò la formula: “O siete dalla nostra parte o siete con i terroristi.” I governi dovettero quindi prendere posizione, anche se non si trattò di una scelta vera e propria. Quando poi iniziò la caccia ai terroristi e ai loro sostenitori nel corso della “guerra al terrore”, molti dispiegarono tutto il loro arsenale. Per dirla con le paroleCollegamento esterno di un ex alto funzionario della CIA: “Dopo l’11 settembre non si è più andati tanto per il sottile.”

Campione d Italia
L’enclave italiana di Campione d’Italia in Ticino. Keystone / Alessandro Della Bella

Attenzione però: da dove si inizia la caccia? Gli ostacoli contro cui si scontrarono gli inquirenti nel caso Nada in Svizzera erano evidenti già in un rapporto intermedio del gennaio 2002 della Polizia criminale federale: “Si dichiara apertamente che molte conclusioni si basano su supposizioni che non possono essere provate in base allo stato attuale delle indagini.” E più avanti ancora più chiaramente: “Sinora non sono stati trovati indizi, neppure in maniera frammentaria, di finanziamento o sostegno del terrorismo.”

Le autorità furono tuttavia costrette a reagire. La Svizzera agì sicuramente in buona fede, conferma Jean-Paul Rouiller – e per la verità non soltanto in questa causa. Oggi è a capo del gruppo di analisi congiunta contro il terrorismo (Terrorism-Joint Analysis GroupCollegamento esterno) presso il Geneva Centre for Security Policy e all’epoca era coinvolto nella causa Nada all’interno della Polizia criminale federale. “La nostra prima reazione fu quella di aiutare al meglio gli americani.” Le autorità statunitensi erano sempre state considerate un partner affidabile.

Secondo lui è chiaro – da una prospettiva odierna – che dopo gli attentati gli Stati Uniti ebbero una reazione eccessiva. Non accetta tuttavia che fosse mancata una base a livello di intelligence. Sul caso Nada non intende pronunciarsi nel dettaglio. Sottolinea tuttavia che nell’interpretazione di informazioni riservate l’approccio degli USA differisce molto da quello svizzero – in Svizzera l’influsso della politica è minore e dominano considerazioni di Stato di diritto.

Per Rouiller è altrettanto chiaro che all’epoca degli attentati dell’11 settembre non c’erano molti esperti di estremismo islamico. “Predominavano percezioni nettamente errate.” In particolare anche riguardo al banking islamico gestito da Nada: oggi persino le banche occidentali offrono strumenti finanziari secondo il codice islamico, ma a cavallo del millennio erano poco noti, anche alle autorità inquirenti, che nutrivano comunque già abbastanza sospetti su Nada.

“Un vero scandalo”

L’ex membro del Consiglio degli Stati Dick Marty trova parole più incisive: “La vicenda non è stata altro che un tremendo scandalo.” Che qualcuno possa finire su una lista nera dell’ONU senza che sia stata aperta una procedura, senza essere mai stato interrogato in merito, senza conoscere le accuse precise e senza avere una possibilità di appello – “all’inizio non riuscivo a crederci.”

Ticinese, Marty ha saputo del caso Youssef Nada da un amico comune. “L’ho incontrato, non come avvocato, ma nella mia veste di uomo politico e difensore dei diritti umani.” Anche lui capì in fretta che le accuse erano campate in aria. D’altronde, come ex procuratore del Canton Ticino non aveva mai ricevuto segnalazioni riguardanti l’istituto finanziario di Nada, che a quel tempo operava già da trent’anni a Lugano.  

Dick Marty
Dick Marty al Consiglio d’Europa, 2011. Keystone / Martin Ruetschi

Fu Marty a motivare Nada a inoltrare ricorso contro la procedura avviata dalla procura federale. “Nada all’inizio era reticente. Diceva che non toccava a lui procedere contro la Svizzera che riteneva suo Paese d’adozione.” Marty seppe convincerlo: “Per il nostro Stato di diritto questo ricorso ha avuto un’enorme importanza.”

Nonostante le molte imponderabilità giuridiche il Tribunale penale federale diede ragione a Nada. Nel 2005 il Ministero pubblico della Confederazione interruppe il procedimento contro di lui e in seguito ci vollero altri quattro anni prima che il suo nome fosse stralciato anche dalla lista di sanzioni dell’ONU. Anche la via verso la CEDU di Strasburgo fu imboccata su suggerimento di Marty. Ma anche lì le risoluzioni dell’ONU si rivelarono il problema principale: si tratta di diritto superiore e gli Stati devono applicarlo anche quando facendolo violano le proprie leggi nazionali.

Che un organismo come l’ONU, che si impegna a livello internazionale per i valori della democrazia e dello Stato di diritto, abbia potuto agire in tal modo, per Marty è uno scandalo. Nel frattempo si è abituato, visto che ha avuto accesso per vie diverse ad altre pratiche altamente discutibili della “guerra al terrore”. Dal 1998 al 2011 fu parlamentare del Consiglio d’Europa. A partire dal 2006 i suoi rapporti sui campi di prigionia segreti della CIA e sui trasporti di prigionieri in Europa suscitarono molto scalpore. Anche il tema dei black sites giunse ai media tramite Marty. “Il tutto è successo parallelamente con la vicenda di Youssef Nada.”

Marty prova ancora l’indignazione di allora. E non risparmia dure critiche alla Svizzera: “Non c’è stato un solo governo che ha avuto il coraggio di opporsi agli americani. Inoltre gli USA ci hanno manipolato deliberatamente.” Significativi al riguardo sono dei documenti resi pubblici dalla televisione svizzera. Dopo le prime indagini il procuratore pubblico incaricato aveva scritto a Washington dicendosi “deluso” delle informazioni trasmesse, “superficiali” e “inutilizzabili.”

Dick Marty si è espresso subito in modo molto critico, come riportato in questo frammento televisivo di SRF (in inglese):

Marty attira l’attenzione pure su un altro punto: Nada è stato rimosso anche dalle liste del terrorismo statunitensi: “È un segnale inequivocabile. Infatti, se persiste anche solo il ben che minimo dubbio, il nome rimane sulla lista.”

In seguito, la Svizzera ha perlomeno apportato alcune modifiche alle sanzioni dell’ONU sul blocco degli averi e il divieto di spostamento. È stata inserita una clausola per i casi di rigore affinché gli interessati possano prelevare il denaro necessario a coprire le spese correnti. Inoltre, è stata creata una procedura di „de-listing“ grazie a cui le persone elencate hanno ottenuto la possibilità – non prevista prima di quel momento – di richiedere una revisione del loro stato.

L’istituzione di un ombudsman indipendente è stata una delle principali conquiste della Svizzera, affiancata da altri Paesi. Anche se la sua influenza è contenuta, si tratta pur sempre di un importante correttivo per il comitato che commina le sanzioni e prende le decisioni pertinenti. Tuttavia per Marty non basta: “La Svizzera avrebbe potuto fare molto di più.”

Se ai danni di Nada sia stato orchestrato un complotto, come egli stesso sostiene – Marty non vuole entrare nel merito. D’altro canto è convinto che la vicenda non sia ancora giunta al suo epilogo.

Cosa resta?

Perlomeno in Svizzera le liste dell’ONU non hanno portato a nessun procedimento. Su nostra richiesta la Segreteria di Stato dell’economia scrive: “Sinora le sanzioni del Consiglio di sicurezza dell‘ONU contro Al-Qaida e i Talebani hanno colpito meno di dieci persone e organizzazioni svizzere. Da molti anni queste persone e organizzazioni non vengono più colpite dalle misure poiché sono state ad esempio stralciate dalla lista.” L’Ufficio non rilascia informazioni su ulteriori dettagli, ad esempio riguardanti gli averi bloccati.

“Non c’è stato un solo governo che ha avuto il coraggio di opporsi agli americani.”

Dick Marty, ex relatore del Consiglio d’Europa

Neppure vent’anni dopo l’11 settembre la vicenda delle liste del terrorismo dell’ONU può dirsi archiviata. L’ombudsman menzionato in precedenza e preposto alla vigilanza esiste ancora. Dal 2018 la carica è assunta dallo svizzero Daniel Kipfer Fasciati che concluderà il mandato a fine anno. L’ex giudice penale federale ha rassegnato le sue dimissioni, in cui ha espresso chiare critiche. Deplora ad esempio la mancanza di indipendenza istituzionale della funzione e la protezione contrattuale della persona in carica. Mancherebbero elementi basilari, dallo status di diplomatico, senza il quale a questi livelli della politica mondiale si avrebbero le mani legate, fino a un’assicurazione malattia.

In base a un articoloCollegamento esterno della rinomata rivista Foreign Policy non è un caso: un lungo rapporto in cui dicono la loro anche i predecessori di Kipfer Fasciati evidenzia come queste limitazioni siano deliberate. Fino a che gli Stati membri del Consiglio di sicurezza non decidono altrimenti l’ombudsman ha un influsso limitato. E non si intravedono cambiamenti: lo strumento delle liste del terrore, che vengono stilate praticamente senza nessun meccanismo giuridico di controllo, sembra essere tuttora popolare nella “guerra al terrore”.

E Nada? Il suo impegno per i Fratelli prosegue: durante il nostro colloquio riceve chiamate da media arabi, si batte per i fratelli musulmani incarcerati in Egitto, interviene nel dibattito pubblico. A parte questo vuole godersi il resto dei suoi giorni a Campione, non nutre più rancore. “Dopo tutto, sono riuscito a tener testa a una potenza mondiale.”


Traduzione dal tedesco: Lorena Mombelli

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