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I giurassiani non vogliono più salari da fame

Keystone

Il Giura è stato, dopo Neuchâtel, il secondo cantone della Svizzera a votare a favore di un salario minimo. Nel paese del partenariato sociale, l'idea sembrava strampalata ancora pochi anni fa. Ma la libera circolazione delle persone ha sollevato il malcontento nelle regioni di confine.

Soprattutto la vergogna, ma anche la paura di essere riconosciuto e di subire ritorsioni: sono gli ostacoli che si incontrano quando si vogliono raccogliere testimonianze di working poor nel Giura. In Svizzera, parlare pubblicamente del proprio stipendio è già di per sé praticamente un tabù assoluto. Cosicché, quando si ricevono retribuzioni di cui non si va fieri e per di più in un territorio di 70mila abitanti, in cui quasi tutti si conoscono, c’è totale omertà.

“Nessuno crede all’anonimato nel Giura”, riassume Estelle Kamber, capo del settore “sociale e debiti” presso la Caritas a Delémont, che rileva un “aumento di situazioni complesse” tra coloro che vengono a chiedere aiuto a causa di problemi finanziari. Secondo il sindacato Unia, un giurassiano su cinque guadagna meno di 4’000 franchi lordi al mese, ossia la soglia di “bassi salari” definita dall’Ufficio federale di statistica (UST). Ciò significa più del doppio della media nazionale.

Secondo i dati dell’Osservatorio statistico transfrontaliero dell’Arco giurassiano (OSTAJ), il tasso di disoccupazione in tutto l’Arco giurassiano svizzero (Giura bernese, Vaud, Neuchâtel, Giura) è stato pari al 2,8% nel terzo trimestre del 2012. Dall’altra parte del confine, in Franca Contea, si è attestato al 9,9%.

“Il boom nel settore dell’orologeria permette di creare molti posti di lavoro e assorbire il forte aumento del numero di frontalieri, dice Pierluigi Fedele, del sindacato Unia. Ma una nuova crisi orologiera potrebbe cambiare la situazione”. Durante la crisi 2008-2009, la disoccupazione aveva raggiunto il 6,6% in tutto l’Arco giurassiano svizzero, una regione industriale orientata principalmente verso i mercati esteri.

“Per la prima volta durante quella crisi, il numero di frontalieri è diminuito, ma solo leggermente. È quindi la manodopera locale che ha servito da cuscinetto”, osserva Pierluigi Fedele. Dal 2006, il numero dei frontalieri è praticamente raddoppiato nell’Arco giurassiano svizzero, con una forza lavoro di 41mila persone nel terzo trimestre del 2012.

Non è dunque sorprendente che al momento di depositare un voto nelle urne, il 3 marzo scorso, i giurassiani abbiano espresso la loro esasperazione di fronte a questa situazione: contro il parere del governo e del parlamento cantonali, come pure delle cerchie economiche e dei partiti di destra, l’elettorato ha accettato un’iniziativa della Gioventù socialista e progressista, che chiede l’introduzione di salari minimi in tutti i rami economici e le aziende che non sono sottoposti a un contratto collettivo di lavoro (CCL).

Altri sviluppi

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Una misura dagli effetti molto variabili

Questo contenuto è stato pubblicato al Il parlamento se ne occuperà prossimamente e il popolo voterà non prima dell’anno prossimo. Ma l’iniziativa popolare “Per la protezione di salari equi (Iniziativa sui salari minimi)” sta già scatenando aspri dibattiti. Il testo prevede un minimo legale di 22 franchi all’ora. Ciò equivarrebbe a uno stipendio mensile di circa 4’000 franchi per un tempo…

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Una terra di bassi salari

“Con il pretesto fallace che la vita è meno cara che altrove, alcuni imprenditori giurassiani si permettono di pagare salari da fame ai propri dipendenti”, sostiene Pierluigi Fedele, segretario regionale del sindacato Unia, che ha sostenuto attivamente l’iniziativa. Per il sindacalista, il Giura è certamente da lungo tempo una terra di bassi salari, ma è anche chiaro che la situazione è peggiorata negli ultimi anni.

“Scopriamo sempre più casi di dumping salariale. Le retribuzioni inferiori a 3’000 franchi lordi al mese nella vendita al dettaglio, nel settore alberghiero e nell’industria sono frequenti. Alcune persone che lavorano nei servizi guadagnano persino meno di 2’000 franchi al mese per un equivalente a tempo pieno!”

Pierluigi Fedele punta l’indice sulla libera circolazione delle persone tra la Svizzera e l’Unione europea, che avrebbe portato il dumping salariale in questo cantone dove lavorano 6’400 frontalieri, la maggior parte francesi. “In seguito all’entrata in vigore degli accordi sulla libera circolazione delle persone (2004), il personale qualificato indigeno è stato il primo interessato. Dal 2009 e il rinnovo di questi accordi, è il personale non qualificato che, a sua volta, subisce la pressione sui salari. Le misure di accompagnamento [misure anti-dumping elaborate dallo Stato, le associazioni padronali e i sindacati] hanno mostrato i limiti nei settori in cui ci sono pochi CCL, come l’industria”.

Nel Cantone del Giura, solo il 10% delle aziende del settore industriale sono soggette a un contratto collettivo di lavoro (CCL). “Il tessuto economico giurassiano è principalmente costituito da piccole aziende con meno di 20 dipendenti, spiega Jean-Frédéric Gerber, direttore della Camera di commercio e d’industria del Giura. Esse cercano di adattarsi ai CCL nazionali in materia di orario di lavoro e di salari, ma non possono permettersi di offrire certe prestazioni supplementari, come ad esempio la 5a o la 6a settimana di vacanza”.

Nessun calo generale

Gli ambienti economici, che si sono opposti in blocco all’iniziativa, refutano categoricamente questa analisi. “È sbagliato parlare di dumping salariale, afferma Jean-Frédéric Gerber, direttore della Camera di commercio e d’industria del Giura (CCIJ). C’è stata una certa compressione dei salari, ma non un calo generale. Nel nostro cantone, se c’è pressione, esisteva molto prima della libera circolazione, perché la manodopera straniera non è mai stata contingentata”.

Jean-Frédéric Gerber teme non solo che l’introduzione di un salario minimo alla francese faccia risorgere lo spettro della disoccupazione strutturale – “c’è il rischio che le persone scarsamente qualificate siano escluse dal mercato del lavoro” – ma anche che indebolisca pericolosamente il partenariato sociale [negoziati tra padronato e sindacati che portano alla firma di CCL]. “Si tratta di un modello che si è dimostrato efficace finora. Chiedendo allo Stato di risolvere il problema dei bassi salari, la sinistra ci spodesta della nostra competenza di negoziare i salari minimi per settore”.

Altri sviluppi

Durante la campagna, la Gioventù socialista e progressista giurassiana ha anche sottolineato le conseguenze finanziarie causate dai bassi salari al Cantone e ai Comuni. Molti lavoratori sono infatti costretti a ricorrere all’aiuto sociale per integrare i redditi insufficienti.

Inoltre, circa un terzo dei giurassiani riceve un sussidio per pagare i premi dell’assicurazione malattie, per un totale di quasi 40 milioni di franchi all’anno. Contattato per maggiori dettagli, il governo giurassiano non ha voluto rispondere alle domande di swissinfo.ch.

Come sarà applicata?

Basandosi su una decisione del Tribunale federale, il quale ritiene che salario minimo legale dovrebbe essere vicino al reddito minimo previsto dalle assicurazioni o l’assistenza sociali, ossia circa 2’500 franchi al mese, gli oppositori hanno spesso avanzato argomenti giuridici per denunciare l’inapplicabilità di tale iniziativa. “I Cantoni non hanno la competenza di imporre salari minimi per ramo economico come vorrebbero i promotori dell’iniziativa”, spiega Jean-Frédéric Gerber.

A Neuchâtel, che è stato nel novembre 2011 il primo cantone svizzero a votare il diritto a un salario minimo, di tipo “sociale”, l’attuazione finora è rimasta bloccata. Queste incertezze giuridiche hanno portato la Caritas, che a livello nazionale denuncia da più di un decennio il destino dei working poor, a non a sostenere attivamente l’iniziativa giurassiana.

“I politici non sanno che pesci pigliare e i padroni non vogliono agire. Ma noi spingeremo il governo ad agire in fretta”, dice Pierluigi Fedele. Il caso del Giura sarà seguito attentamente, in quanto in Ticino in questi ultimi giorni è stata lanciata un’iniziativa analoga e in Vallese si voterà presto su questo argomento. Vaud e Ginevra hanno invece respinto un’idea simile.

Per la sinistra e i sindacati, si tratta chiaramente di segnare le menti prima della votazione nazionale attesa per l’anno prossimo. Secondo i risultati di un sondaggio pubblicati in marzo, quasi i tre quarti degli svizzeri sosterrebbero l’iniziativa lanciata dall’Unione sindacale svizzera (USS). Anche a costo di sconvolgere il tradizionale modello del partenariato sociale elvetico?

Responsabile del settore “sociale e debiti” alla Caritas a Delémont, Estelle Kamber indica a swissinfo.ch i dettagli del budget mensile di una famiglia giurassiana con due figli. “Una stima evidentemente teorica, da non prendere strettamente alla lettera”, precisa.

Minimo vitale fissato dal cantone per una famiglia di 4 persone: 2’900 franchi

Pigione: 1’300 franchi

Premi di assicurazione malattie: 700 franchi

Trasporti e pasti presi all’esterno: 330 franchi

Imposte: 450 franchi

Spese diverse: 150 franchi

Totale: 5’830 franchi

Se il secondo coniuge lavora, si aggiungono ancora i costi di custodia per i bambini.

“Nel basso ceto medio, sempre più persone stentano a cavarsela finanziariamente, constata Jean-Noël Rey, direttore della Caritas Giura. Appena sorge una piccola grana, non arrivano più a pagare le loro fatture e si ritrovano rapidamente prese nella spirale dell’indebitamento”.

(Traduzione dal francese: Sonia Fenazzi)

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