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La Svizzera vieta burqa e niqab nei luoghi pubblici

donna col niqab
Keystone / Gian Ehrenzeller

La Svizzera segue quanto fatto da altri Paesi europei e introduce il divieto di dissimulare il volto nei luoghi pubblici. L'iniziativa anti-burqa della destra conservatrice ha ottenuto domenica la doppia maggioranza di popolo e Cantoni.

Il divieto di dissimulare il viso nei luoghi pubblici, già in vigore in Ticino e nel Canton San Gallo, sarà esteso a livello nazionale. La cosiddetta ‘iniziativa anti-burqa’ è stata accolta domenica dal 51,2% dell’elettorato e dalla maggioranza dei Cantoni.

La Svizzera introduce così un altro divieto che riguarda la comunità musulmana, dopo quello del 2009, quando il 57,7% dell’elettorato accolse, contro l’opinione di governo e parlamento, il divieto di costruire nuovi minareti.

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Lanciata dal cosiddetto Comitato di Egerkingen, che riunisce politici di destra e attivisti conservatori, l’iniziativa iscrive nella Costituzione svizzera il divieto di nascondere il viso in pubblico, in particolare nelle strade, nei trasporti pubblici e negli uffici, nei ristoranti, nei negozi e negli stadi di calcio. La proposta era sostenuta dall’Unione democratica di centro (UDC), il principale partito del Paese, da altri gruppi conservatori, da diversi politici dei partiti di centro-destra e centristi, così come da un gruppo di femministe e musulmane liberali.

Segnale a favore della libertà religiosa

L’accettazione dell’iniziativa anti-burqa è un voto di buon senso, si è rallegrato il comitato d’iniziativa, per il quale si tratta di “un chiaro segnale” a favore della libertà religiosa. “Il popolo elvetico ha voluto confermare il modello democratico basato sui valori ebraico-cristiani (…) che fa il successo della Svizzera da 700 anni”, ha detto all’agenzia Keystone-ATS Yohan Ziehli, membro del comitato d’iniziativa e assistente di ricerca presso l’UDC.

“Si è trattato di una saggia decisione del popolo svizzero.”

Walter Wobmann, presidente del Comitato di Egerkingen

L’iniziativa, ha affermato, ha voluto contrastare un’ideologia politica medievale “che vuole compromettere i diritti delle donne” e le considera come “oggetti del desiderio maschile che vanno nascosti”. Cinquant’anni dopo l’accettazione del diritto di voto delle donne in Svizzera, questo progetto è “logico” ed “è ovvio per tutti”, ha aggiunto Ziehli. “Si è trattato di una saggia decisione del popolo svizzero”, ha dichiarato Walter Wobmann, presidente del Comitato di Egerkingen.

Anche per Marco Chiesa, presidente dell’UDC, il ‘sì’ di domenica rappresenta un chiaro segnale contro l’Islam radicale, contro i teppisti mascherati e a favore di una coabitazione pacifica in Svizzera. Numerosi Cantoni e altri Paesi hanno già adottato misure simili e anche la Corte europea dei diritti umani ha ritenuta accettabile la proibizione del velo integrale, ha sottolineato Chiesa, secondo cui l’Islam radicale è senza dubbio un problema in Svizzera.

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Il voto è rivelatore di una presa di coscienza sulla violenza sportiva e sull’Islam, sostiene Mohamed Hamdaoui, esponente dell’Alleanza del Centro e membro di un comitato a favore della modifica costituzionale. Secondo Hamdaoui occorreva stabilire in modo chiaro che la lotta contro l’hooliganismo non può essere lasciata ai Cantoni. Nel contempo, era necessario lanciare un segnale forte contro l’islamismo e non contro i musulmani, che hanno evidentemente il loro spazio nella Confederazione.

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Parlare apertamente di jihadismo e radicalizzazione

Il sì trasversale al divieto di burqa e niqab è da interpretare come un no a un’ideologia totalitaria che non ha diritto di esistere in una democrazia: è la lettura di Saïda Keller-Messahli, fondatrice del Forum per un islam progressista. A suo avviso il segnale sarà molto ben compreso sia in Svizzera che all’estero.

Nella Confederazione il disagio nei confronti dell’Islam organizzato è grande, ha indicato l’esperta a Keystone-ATS. “Ci sono molte cose di cui non si parla. C’è anche una forma di censura. Non si ha il diritto di criticare l’Islam politico ad alta voce. La gente ha paura di essere tacciata di razzismo o islamofobia”. Secondo Keller-Messahli, occorre al contrario parlare apertamente di argomenti tabù quali il jihadismo, la radicalizzazione e l’aggressività degli islamisti.

Nessun passo in avanti per i diritti delle donne

“Non è stato risolto nessun problema, nulla cambia e nemmeno i diritti delle donne sono progrediti”, ha commentato il presidente del gruppo socialista alla Camere federali Roger Nordmann. A suo avviso si sono sommati due sì: quello discriminatorio dell’UDC contro gli stranieri e quello laico contro i simboli religiosi nello spazio pubblico. Secondo Nordmann, circa un quarto dell’elettorato di sinistra ha sostenuto l’iniziativa per ragioni laiche e femministe.

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Per Tamara Funiciello, copresidente della sezione femminile del Partito socialista, il ‘sì’ all’iniziativa non risolve i veri problemi come il sessismo, il razzismo e la violenza. “Smettiamola di dire alle donne come si devono vestire”, ha detto.

Sulla stessa linea, la sezione svizzera di Amnesty International ha deplorato una nuova iniziativa “che discrimina una determinata comunità religiosa” e che alimenta le divisioni e le paure. Il divieto del velo integrale non è una misura volta alla liberazione delle donne. Al contrario, viola la libertà di espressione e di religione, ha criticato in un comunicato Cyrielle Huguenot, responsabile dei diritti delle donne presso l’organizzazione.

“Una delusione per i musulmani nati in Svizzera”

Il divieto del velo integrale è “una grande delusione per i musulmani che sono nati e cresciuti in Svizzera”, ha indicato il Consiglio centrale islamico della Svizzera (CCIS), secondo cui i promotori dell’iniziativa sono riusciti ad ancorare l’islamofobia nella Costituzione federale.

Ferah Ulucay, segretaria centrale della CCIS, ritiene che l’iniziativa non servirà a nulla. Nessuna multa è stata finora inflitta nel Canton San Gallo, otto anni dopo la votazione sul divieto del burqa, ha detto all’agenzia Keystone-ATS. I promotori hanno giocato sulle paure della popolazione, dipingendo scenari “come se fossimo a Kabul o in Iran”, ha criticato.

“In Francia dopo il divieto del velo si è vista aumentare la violenza”.

Pascal Gemperli, Federazione delle organizzazioni islamiche della Svizzera

Il CCIS promette che sarà al fianco delle donne che portano il niqab. “Le sosterremo e pagheremo le multe finché avremo le risorse per farlo: se necessario, andremo fino alla Corte europea dei diritti dell’uomo a Strasburgo”, ha affermato Ulucay.

La Federazione delle organizzazioni islamiche della Svizzera teme da parte sua per la sicurezza dei musulmani. “In Francia dopo il divieto del velo si è vista aumentare la violenza”, ha affermato il portavoce Pascal Gemperli. “Posso capire che molte persone abbiano votato per convinzione, per proteggere certe donne, e non sotto la spinta di intenzioni negative verso la comunità musulmana: ma comunque si creerà un’atmosfera piuttosto malsana”, ha detto.

Con la decisione odierna, la Svizzera si aggiunge alla lista dei circa 15 Paesi in Europa che hanno introdotto divieti generali di dissimulare il viso.

La Francia ha fatto da apripista nel 2011, ma anche altri tre Paesi confinanti con la Confederazione – Germania, Italia e Austria – hanno introdotto delle restrizioni; sia divieti generali, sia misure specifiche e regionali. In Lombardia e Veneto, ad esempio, è proibito il velo integrale negli ospedali e negli edifici pubblici.

Divieti di indossare burqa e niqab di qualche tipo sono in vigore in numerosi paesi in Europa, Asia, Africa e Nord America.

Addio ai ricchi turisti dal Golfo

La Federazione svizzera del turismo (FST) ha deplorato l’accettazione dell’iniziativa. Il settore, che sta già soffrendo molto per la crisi del coronavirus, non può permettersi ulteriori complicazioni, ha affermato la direttrice Barbara Gisi.

La Svizzera, Paese aperto, era lieta di accogliere turisti con il velo integrale, ma i ricchi ospiti degli Stati del Golfo sono ormai persi, ha detto. La FST cercherà ora, attraverso attività di sensibilizzazione, di accogliere il maggior numero possibile di viaggiatori socialmente più progressisti provenienti dalle stesse nazioni.

Secondo Gisi, l’esempio del Ticino dimostra che il divieto del burqa ha un impatto sul turismo. Il Cantone a sud delle Alpi ha perso il 30% dei visitatori provenienti dagli Stati del Golfo e per la direttrice della FST il divieto del velo è stato il fattore decisivo.


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