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Gli svizzeri bocciano il salario minimo legale

Nulla da fare per il salario minimo in Svizzera: il popolo ha detto no a schiacciante maggioranza Keystone

Avrebbe potuto essere il salario minimo più alto del mondo, ma gli svizzeri non ne hanno voluto sapere. Con più del 76% di no, i votanti domenica hanno rifiutato la proposta di introdurre un minimo legale su scala nazionale. Una posizione in controtendenza rispetto alla maggioranza dei paesi europei.

Con la decisione popolare odierna, la Svizzera rimane tra una minoranza di paesi in Europa. Attualmente in 21 dei 28 dell’Unione europea vigono degli stipendi minimi fissati dalla legge. E nella maggior parte di quelli in cui non sono contemplati dalla legge, come in Italia, Germania e la maggior parte dei paesi scandinavi, i contratti collettivi di lavoro (CCL) coprono la maggior parte dei dipendenti e contengono disposizioni precise in termini di rimunerazioni. In Svizzera, invece, poco meno della metà dei dipendenti è coperta dai CCL e solo una parte di questi prevedono dei minimi salariali.

L’iniziativa prevedeva uno stipendio minimo legale a livello nazionale di 22 franchi all’ora, che sarebbe equivalso a una rimunerazione mensile di circa 4’000 franchi per un tempo pieno di 42 ore settimanali.

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Non c’è stato un solo cantone in cui l’iniziativa popolare “Per la protezione di salari equi (Iniziativa sui salari minimi)” abbia trovato grazia. Il testo promosso dall’Unione sindacale svizzera (USS) è stato sonoramente bocciato anche nel Giura e a Neuchâtel, ossia dove negli anni scorsi il popolo aveva approvato l’introduzione del salario minimo a livello cantonale.

Il voto è giunto al termine di una campagna che ha visto contrapporsi due fronti di uno schema classico: sindacati e partiti di sinistra contro padronato e partiti di centro e di destra.

Il 18 maggio è stato particolarmente amaro per i fautori del salario minimo legale in Vallese, dove l’elettorato ha rifiutato con più dell’80% di no anche una proposta simile a livello cantonale. In questo caso si sarebbe trattato di introdurre nel cantone un minimo legale di 3’500 franchi per 13 mensilità all’anno. Eccezioni sarebbero state possibili per i settori in difficoltà economiche in cui vige un contratto collettivo di lavoro – per esempio l’agricoltura –, dove si sarebbe potuto negoziare una retribuzione minima inferiore.

In passato quattro iniziative cantonali per l’introduzione del salario minimo legale sono state sottoposte al voto popolare: nei cantoni di Vaud e Ginevra sono state bocciate, mentre a Neuchâtel e nel Giura sono state approvate. Un’altra iniziativa è pendente in Ticino.

L’obiettivo dei promotori era di ridurre la povertà e di lottare contro il dumping e contro le disparità salariali tra uomini e donne. Secondo i sostenitori dell’iniziativa, il minimo di 4’000 franchi avrebbe dovuto permettere di vivere dignitosamente del proprio lavoro a tempo pieno agli oltre 330mila dipendenti che attualmente hanno una rimunerazione inferiore. Dato che i due terzi di coloro che si trovano nella fascia dei bassi stipendi sono donne, questa misura avrebbe consentito di ridurre le disuguaglianze di rimunerazione tra i sessi. Inoltre il minimo legale avrebbe messo fine alla pressione sui salari esercitata con l’importazione di manodopera estera a basso costo.

Datori di lavoro e partiti di centro e di destra, come pure il governo, argomentavano invece che quello che sarebbe stato il salario minimo più elevato del mondo non sarebbe stato sopportabile per molte aziende. Queste avrebbero quindi effettuato ristrutturazioni o delocalizzazioni all’estero oppure sarebbero fallite. Di conseguenza l’iniziativa avrebbe portato alla soppressione di molti posti di lavoro, sostenevano gli oppositori. Denunciando il salario minimo legale come “un dettame dello Stato nell’economia privata”, gli avversari dell’iniziativa affermavano che il sistema di libero mercato, con negoziati salariali settoriali e regionali, su base volontaria, tra i partner sociali è la chiave del successo dell’economia elvetica e va dunque preservato.

Un plebiscito del sistema liberale elvetico

Ovviamente soddisfatti del responso popolare il governo, i rappresentanti padronali e quelli dei partiti di destra e di centro. “È un segnale chiaro in favore della nostra piazza economica, del nostro mercato del lavoro e di un partenariato sociale vissuto”, ha dichiarato in una conferenza stampa il ministro dell’economia Johann Schneider-Ammann. Il liberale radicale ha quindi biasimato qualsiasi soluzione rigida che non tenga conto dei bisogni specifici dei singoli settori e regioni ed ha esortato i partner sociali a “restare sulla via del successo”.

Anche il presidente dell’Unione svizzera delle arti e mestieri (USAM) Jean-François Rime ha interpretato il voto come il sostegno degli svizzeri al partenariato sociale. Per la Federazione delle imprese svizzere economiesuisse, una delle più importanti organizzazioni dei datori di lavoro elvetici, il rifiuto del salario minimo è un chiaro segno che gli svizzeri non vogliono un intervento statale nel mercato del lavoro.

Rifiutando questa iniziativa, gli svizzeri hanno espresso un “voto di ragione”, ha commentato dal canto suo il presidente del Partito popolare democratico svizzero (PPD, centro-destra) Christophe Darbellay. “Questa iniziativa era dannosa proprio per quelle persone che intendeva proteggere”, ha aggiunto il deputato vallesano, il quale ha poi auspicato che “la sinistra e i sindacati si rendano finalmente conto che la Svizzera è un paese dove i diritti dei lavoratori sono già saldamente ancorati”.

Per il Partito liberale radicale (PLR, centro-destra), con lo schiacciante rifiuto si è impedito che una minaccia supplementare gravasse sulla competitività della Svizzera. In una nota, il PLR aggiunge che questo risultato “è anche un segnale chiaro degli elettori contro le future battaglie della sinistra nei confronti del mercato del lavoro liberale svizzero”.

Una sconfitta, ma non la resa

Il presidente dell’Unione sindacale svizzera Paul Rechsteiner ha riconosciuto che il voto odierno rappresenta una chiara sconfitta: si tratta di un cattivo risultato, che non giunge però a sorpresa visto che si era già delineato nelle scorse settimane, ha detto Rechsteiner alla televisione della svizzera tedesca SRF.

Il senatore socialista ha sottolineato che l’iniziativa ha comunque avuto effetti positivi, poiché numerose società, soprattutto nella distribuzione al dettaglio, hanno nel frattempo adeguato i minimi salariali sul livello chiesto dai sindacati. Prima del voto decine di migliaia di lavoratori hanno così ottenuto aumenti salariali, ha aggiunto il capo economista dell’USS Daniel Lampart, contattato dall’agenzia stampa Ats.

Resta comunque il fatto che molti settori economici sono privi di CCL, in particolare quelli a basso salario dove lavorano molte donne. Il sindacato continuerà quindi la battaglia per migliori condizioni di lavoro e contro le discriminazioni, ha preannunciato Rechsteiner. Non ci arrendiamo e cercheremo di raggiungere l’obiettivo seguendo un’altra strada, ha rincarato Lampart.

La fine del terzo atto

La votazione odierna chiude un ciclo di tre iniziative lanciate a livello federale sull’onda dell’indignazione popolare di fronte alle rimunerazioni esorbitanti di top manager di grandi società e dell’allargamento continuo del divario salariale. Il voto sul salario minimo è stato preceduto il 24 novembre 2013 da quello sull’iniziativa “1:12 – Per salari equi”, lanciata dalla Gioventù socialista, che è stata respinta con più del 65% di no e da tutti i cantoni. Prevedeva che in ogni azienda il salario più elevato potesse superare al massimo di dodici volte quello più basso.

Sorti favorevoli aveva invece conosciuto la prima iniziativa: quella “contro le retribuzioni abusive”, promossa dal piccolo imprenditore Thomas Minder, approvata il 3 marzo 2013 con il sì di quasi il 68% dei votanti e di tutti i cantoni. Essa stabilisce in particolare che l’assemblea generale degli azionisti vota annualmente l’importo delle retribuzioni del consiglio di amministrazione, dell’organo consultivo e della direzione delle società quotate alla Borsa svizzera. Vieta in modo assoluto indennità di partenza e retribuzioni anticipate.

Tuttavia la sua applicazione, parzialmente in vigore dall’inizio di quest’anno, non soddisfa Thomas Minder. Il senatore sciaffusano ha già minacciato una nuova iniziativa per correggere il tiro, se la relativa legge non sarà conforme alle sue richieste. Il dibattito non è dunque finito.

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