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Chiaro no per la Riforma dell’imposizione delle imprese

Il presidente del PS Christian Levrat e gli altri esponenti socialisti esultano dopo la loro, rara, vittoria contro le forze di centro e di destra. Keystone

Cocente sconfitta per i sostenitori della Riforma III dell’imposizione delle imprese: quasi il 60% dei votanti e quasti tutti i Cantoni hanno bocciato il progetto approvato nel giugno scorso dalla maggioranza di centro e di destra del parlamento e combattuto da un referendum del Partito socialista.

Il netto rifiuto popolare della Riforma III dell’imposizione delle imprese sorprende solo in parte: già nelle ultime settimane si era palesemente rafforzato lo scetticismo nei confronti di questo progetto, adottato nel giugno scorso dalla maggioranza di centro e di destra del parlamento. Diversi esponenti degli stessi partiti borghesi, tra cui l’ex ministra delle finanze Eveline Widmer-Schlumpf, erano scesi in campo per mettere in guardia sulle conseguenze fiscali e finanziarie della nuova legge. 

Stupisce però la dimensione del no che esce dalle urne: la Riforma III è stata silurata dal 59,1% dei votanti a livello nazionale e non ha raccolto sufficienti consensi neppure in molti Cantoni dominati da una solida maggioranza di partiti di centro e di destra. Solo i Cantoni Ticino, Vaud, Zugo e Nidvaldo, per ragioni diverse tra di loro, si sono espressi a favore. 

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Duro schiaffo

La crescente concorrenza fiscale verso il basso tra i Cantoni, l’aumento della pressione finanziaria per i contribuenti e i tagli alle prestazioni pubbliche previsti in caso di nuovi alleggerimenti per le imprese sembrano aver spinto numerosi cittadini a respingere la terza grande riforma tributaria adottata negli ultimi 20 anni dal parlamento. 

Il massiccio no di questa domenica rappresenta quindi un duro schiaffo per il governo e i partiti di centro e di destra, che hanno indubbiamente sottovalutato la crescente insofferenza degli elettori, in particolare della classe media, nei confronti di nuovi sacrifici finanziari a favore delle imprese e dei loro azionisti. Tanto più che la riforma conteneva diversi nuovi sgravi fiscali per le aziende alquanto opachi, come i “patent box”, le deduzioni fino al 150% delle spese per la ricerca e l’innovazione o la possibilità di dedurre perfino gli interessi dall’imposta sull’utile. Sgravi che avrebbero contribuito a ridurre il gettito fiscale dei Cantoni e dei Comuni.

Non hanno probabilmente convinto i votanti neppure le misure di compensazione, molto “pesanti” dal profilo finanziario, imposte alla Confederazione per attenuare l’impatto della riforma sui Cantoni e i Comuni. Queste misure, che avrebbero fatto perdere circa 1,3 miliardi di franchi all’anno alla Confederazione, erano state volute dal ministro delle finanze Ueli Maurer e dai partiti borghesi, che da anni predicano la necessità di salvaguardare l’equilibrio delle finanze federali e adottano un pacchetto di risparmi dopo l’altro. Il voto di questa domenica rafforza quindi in una certa misura la posizione della sinistra, sconfitta alle elezioni parlamentari del 2015, dalle quali era emersa una maggioranza di destra alla Camera del popolo. 

Statuti fiscali privilegiati

In Svizzera vi sono circa 24’000 aziende che godono di regimi fiscali speciali. Si tratta principalmente di holding, società miste e società di domicilio, che non esercitano nella maggior parte dei casi nessuna attività produttiva o commerciale sul territorio elvetico. 

Queste società rappresentano solo il 7% di tutte le aziende con sede in Svizzera, ma assicurano circa la metà delle tasse prelevate dalla Confederazione sugli utili delle imprese. La Confederazione applica un’aliquota effettiva dell’7,8% per tutte le imprese. 

Per quanto riguarda i Cantoni, holding, società miste e società di gestione garantiscono circa il 21% delle imposte sugli utili versate da tutte le imprese. Nei Cantoni, queste società sottostanno ad aliquote molto basse o sono addirittura esentate da tasse. 

Il loro onere fiscale complessivo (Confederazione, Cantoni e Comuni) si situa tra il 7,8 e il 12%. Per le altre aziende attive in Svizzera questo onere varia invece tra il 12 e il 24%.

Cartellino rosso

“Il risultato di questo voto crea un’insicurezza giuridica che colpisce la Svizzera e le sue imprese in un periodo di forte concorrenza fiscale a livello internazionale”, ha dichiarato Ueli Maurer. Secondo il ministro delle finanze, in seguito a questa insicurezza “le imprese svizzere potrebbe essere portate a investire meno da noi e vi saranno forse meno aziende straniere interessate a venire in Svizzera. Quando le imprese non vengono o se ne vanno, dei posti di lavoro sono minacciati”. 

Per il Partito socialista (PS), rifiutando la Riforma III, il popolo “ha mostrato il cartellino rosso alla politica finanziaria e fiscale della destra. La via è ora libera per una riforma equilibrata e in grado di ottenere una maggioranza favorevole”. Secondo il presidente del PS Christian Levrat, il voto di questa domenica costituisce addirittura “una svolta in questa legislatura: i partiti borghesi e le organizzazioni economiche sono stati puniti per la loro arroganza”. 

Delusione invece nel campo delle forze di centro e di destra. “Il no della Svizzera alle imprese rappresenta un segnale molto negativo. La promozione della piazza economica sembra diventata secondaria”, ha dichiarato il senatore del Partito liberale radicale Ruedi Noser. Più critico il deputato dell’Unione democratica di centro Jean-François Rime, presidente dell’USAM, secondo il quale i sostenitori della riforma hanno commesso degli errori nella loro campagna, in particolare non sono riusciti a spiegare ai cittadini questo tema difficile. 

Adeguamento agli standard internazionali 

La Riforma III dell’imposizione delle imprese era stata lanciata due anni fa dal governo allo scopo di adeguare il sistema fiscale svizzero ai nuovi standard internazionali elaborati dall’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) per lottare contro le pratiche fiscali che permettono alle imprese transnazionali di ridurre o azzerare le loro tasse. Diverse regimi fiscali svizzeri si trovano già da una decina d’anni nel mirino dell’OCSE, dell’UE e del G20, che minacciano sanzioni e liste nere. 

Il progetto di riforma doveva quindi servire innanzitutto a sopprimere queste pratiche fiscali, in particolare i regimi speciali applicati dai Cantoni per attirare holding, società miste e società di domicilio: aziende che operano all’estero e hanno solo attività amministrative o una sede fiscale sul territorio elvetico. Per evitare la partenza di queste società, che danno lavoro a 150’000 persone in Svizzera, quasi tutti i Cantoni hanno previsto di abbassare in futuro le aliquote fiscali per tutte le aziende attive sul loro territorio. 

Misure troppo generose? 

Secondo il Partito socialista, che ha lanciato il referendum contro la Riforma III, la maggioranza di centro e di destra del parlamento ha però approfittato dell’occasione per elargire troppi regali fiscali alle aziende. Misure che avrebbero provocato perdite fiscali di 1,3 miliardi di franchi all’anno per la Confederazione e almeno altrettanti per i Cantoni e i Comuni. Gli oppositori hanno criticato inoltre le nuove agevolazioni fiscali concesse alle imprese, tra cui i “patent box”, gli sgravi per l’innovazione e la ricerca o la deduzione degli interessi sull’imposta sull’utile. 

Critiche respinte dal governo e dai partiti borghesi, per i quali il pacchetto di misure era destinato a rendere ancora più attraente la piazza economica svizzera nel quadro della concorrenza fiscale internazionale. Le agevolazioni fiscali e le misure di compensazione previste dalla Confederazione avrebbero consentito di attirare altre imprese dall’estero, ciò che farà aumentare il gettito fiscale e i posti di lavoro. 

Tempi incerti per una nuova riforma

 Secondo Ueli Maurer, la Svizzera non potrà ora rispettare la data del 1° gennaio 2019, previsa finora per l’adeguamento della legislazione nazionale ai nuovi standard dell’OCSE. “La presentazione di nuovo progetto da parte del governo e le modifiche da parte dei Cantoni richiederanno almeno due anni”, ha spiegato il ministro delle finanze, a detta del quale bisognerà forse attendere fino al 2021. 

Di parere contrario il Partito socialista, secondo il quale ora “non è necessario riprendere il lavoro da zero”, dato che “numerosi elementi (legati alla riforma) sono già stati trattati in commissione e dall’amministrazione federale”. Un nuovo progetto potrebbe quindi vedere la luce ben presto. Il PS intende depositare un’iniziativa parlamentare in questo senso nel primo giorno della sessione primaverile delle Camere federali, il prossimo 27 febbraio.

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