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Vivere con gli zingari

Vita nomade spesso contestata perché diversa, ma riconosciuta perché propria di alcuni gruppi anche svizzeri Keystone

L'Europa orientale cerca di migliorare la situazione dei nomadi. L'esperienza svizzera dimostra: la convivenza è possibile, ma i pregiudizi sono duri a morire.

Da secoli, la maggioranza sedentaria guarda con occhio critico le comunità gitane. Ma si sono fatti passi importanti verso una normalizzazione delle relazioni.

«Prendi questa mano zingara», recita una ormai vecchia canzone, inneggiando ad una romantica visione di libertà e indipendenza della vita nomade. Ma la realtà per le popolazioni che non conoscono vita sedentaria è ben diversa: emarginazione sociale ed economica, esclusione dai servizi sociali e secoli di repressione hanno definito la vita di questa gente con le radici nel lontano est.

In Romania, Serbia o in Slovacchia, Rom e Sinti sono i gruppi sociali più poveri: niente scuola, niente medicina pubblica, sempre meno lavoro. L’età media dei sei milioni di nomadi che vivono nei paesi dell’ex-blocco sovietico è di 20 anni, un indicatore che segnala con chiarezza le difficoltà cui sono confrontati.

Non è dunque un caso che l’anno scorso migliaia abbiano chiesto asilo politico in Svizzera, ma senza successo; i paesi di provenienza sono ritenuti sicuri. Il problema di fondo è che anche in Svizzera comprensione e sostegno sono limitati: la società che insegue l’ideale della casa con giardinetto, non gradisce gli ambulanti.

Cittadini del mondo

«Il problema è il sistema stesso», segnala Marlis Eugster, attiva presso l’organizzazione svizzera degli jenisch, il gruppo di nomadi residente in Svizzera da secoli. La società europea non è fatta per chi vive in roulotte: ogni cittadino ha un domicilio, un luogo d’origine, compila le tasse nel comune di residenza e lì manda i figli a scuola. Chi è un giorno qui e un giorno lì scappa dai modelli amministrativi.

Per la prima volta nel 1848, con il nuovo Stato federale, gli jenisch hanno dovuto trovarsi dei comuni che li accettassero; analogo il destino degli ebrei, che a loro volta si sono visti regolarizzare identità e diritti in quell’occasione. Ma avere le carte da qualche parte non vuol dire cambiare vita.

Piegarli alla società

Con sistemi poco ortodossi, la società ha cercato di piegare queste popolazioni ai propri modelli. Oggi, dei 35’000 jenisch svizzeri, solo una minima parte continua a viaggiare. Il culmine della repressione è stato raggiunto nel Novecento.

Con l’azione di Pro Juventute, «Bambini della strada», per oltre cinquant’anni, centinaia di giovani gitani sono stati sottratti alle famiglie per essere dati in affidamento a «vere famiglie». Con divieti di sosta e altri ostacoli, si è poi cercato di piegare i girovaghi ai dettami della società borghese. Anche la psichiatria ha contribuito con i suoi orrori, cercando di correggere le menti nomadi, ritenute malate.

Con il senno di poi, anche il Consiglio federale si è scusato per le ingiustizie avvenute: «Come in altri Stati europei, la politica della Svizzera nei confronti di queste comunità prima, durante e persino dopo la Seconda guerra mondiale costituisce un capitolo difficile della storia recente».

Una libertà mediata

«Ma la libertà rimane l’istinto più forte degli jenisch», afferma Marlis Eugster. Negli ultimi trent’anni si sono dunque cercate delle soluzioni concrete per coesistere: collaborare è oggi il motto. Gli jenisch stessi hanno creato negli anni Settanta una loro organizzazione, la «Radgenossenschaft», che si occupa dei rapporti con le istituzioni.

I nomadi svizzeri hanno cambiato vita per permettere ai propri figli di seguire la scuola: «Oggi si viaggia da maggio a settembre, così che i figli perdano poche settimane di scuola», spiega Marlis Eugster. La centrale a Zurigo si occupa di chiedere le dispense; gli insegnanti consegnano i compiti e correggono per posta.

Compito più difficile invece è l’organizzazione delle zone di sosta: «Le lamentele, addirittura l’astio verso i nomadi è ancora presente», continua la delegata. Per questo l’associazione cerca con le autorità cantonali di regolarizzare ovunque delle zone dove poter allestire l’accampamento. Ci vogliono i bagni e anche l’elettricità; già, perché in alcuni casi si stanno sperimentando dei modelli di insegnamento online: i figli fanno i compiti dalla roulotte, in contatto virtuale con l’insegnante.

Terreno da recuperare

Ma se gli jenisch si sono conquistati uno spazio nella società svizzera, diversa è la situazione per gli altri gruppi, come i roma e i sinti. Questi hanno un passaporto rumeno o francese, parlano una lingua antichissima e profondamente diversa; anche a livello religioso sono distanti dagli jenisch. I loro percorsi attraversano il continente intero e la loro immagine sono ben diversi da quelli dei parenti della strada elvetici.

Ma per tutti l’esistenza rimane difficile. I lavori classici degli zingari sono ormai decaduti: arrotini e magnani non sono più richiesti, a volte ci si ricicla come robivecchi o vendendo tappeti, molti lavorano a giornata come giardinieri e tappezzieri. Ma solo una società che ha fiducia può garantire loro la sopravvivenza.

In febbraio, otto Stati dell’Europa orientale hanno firmato un accordo per sostenere l’integrazione e migliorare le condizioni di vita delle popolazioni nomadi. Partecipa anche il Fondo monetario internazionale sostiene l’operazione, collaborando con numerose organizzazioni non profit, e spendendo alcuni milioni di dollari in dieci anni.

Per questi però il cammino verso il riconoscimento è ancora lungo. L’esempio degli jenisch svizzeri lo dimostra.

swissinfo, Daniele Papacella

In Svizzera vivono circa 30’000 persone di origine jenisch
Di questi solo una parte, fra i 3’000 e le 5’000 persone continua a fare vita nomade
Sinti e roma non sono invece di nazionalità svizzera; in Europa sarebbero circa 6 milioni

Uno zingaro non è uguale all’altro: con il termine «jenisch» sono chiamate le popolazioni nomadi di nazionalità elvetica. I loro spostamenti, in gruppi familiari di piccole dimensioni si limitano al territorio nazionale. Sono presenti anche in Austria, Germania e Francia.

I sinti e i roma invece si spostano in tutto il continente, sfuggendo dunque alla maggior parte delle regole e dei diritti nazionali. Questo rende difficile il sostegno pubblico e la formazione dei figli.

I vari gruppi hanno radici comuni, probabilmente in India, da dove sono partiti nel tardo Medioevo. Numerosi elementi nelle varie lingue sostengono queste origini lontane. Fra i vari ceppi non corre sempre buon sangue, anche se fanno parte di organizzazioni comuni per difendere i propri interessi.

Un progetto internazionale vuole migliorare le loro condizioni di vita nei prossimi dieci anni.

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