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Svizzera-UE, il punto di rottura

20 dicembre 1992, oltre semila persone deluse dal no al SEE manifestano a Berna per chiedere l'adesione all'Europa Keystone

Residente a Bruxelles dal 1972, l'avvocato svizzero Jean Russotto analizza da 40 anni lo sviluppo delle relazioni tra il proprio paese e l'Unione europea. A suo avviso, hanno raggiunto un "punto di rottura", che si potrebbe però aggirare.

swissinfo.ch: Dove si trovava il 6 dicembre 1992, quando gli svizzeri dissero di no allo Spazio economico europeo?

Jean Russotto: A casa, a Bruxelles, ad aspettare con angoscia i risultati della votazione. Dei diplomatici svizzeri me li hanno dati nel pomeriggio. Erano sconvolti. Anch’io.

swissinfo.ch: A posteriori, ritiene che fosse giustificato? La Svizzera non è riuscita ad ottenere tutto quel che voleva con i due pacchetti di accordi bilaterali con l’UE, nel 1999 e nel 2004?

J. R.: In effetti la Svizzera è riuscita a ricostruire solidi ponti con l’UE. Partecipa all’80% al mercato interno europeo. Ma le carte in gioco sono cambiate.

swissinfo.ch: Perché?

All’origine la via bilaterale era considerata una tappa verso una lenta adesione all’UE. L’obiettivo è stato abbandonato: a Berna, il bilaterismo settoriale è diventato una dottrina. E l’Unione, che dal canto suo si è allargata a est e a sud del continente, ha cambiato atteggiamento. La Svizzera resta un partner significativo. Ma Bruxelles non è più disposta a fare le cose su misura per lei. Da qui le rivendicazioni dell’Unione in ambito istituzionale.

swissinfo.ch: I problemi istituzionali attualmente bloccano lo sviluppo delle relazioni tra la Svizzera e l’UE. È stato raggiunto un punto di rottura?

J. R.: Sì. In dicembre i Ventisette adotteranno nuove conclusioni sulle loro relazioni con la Svizzera. Nel 2008 e nel 2010 avevano abbozzato vie di chiara riflessione sul futuro della bilateralismo. Prima di Natale, si pronunceranno, tra l’altro, sulle proposte avanzate dalla Svizzera in questo contesto nel mese di giugno. Saranno giudicate interessanti, ma nettamente insufficienti. Le dottrine delle due parti si allontanano, perciò c’è il blocco. Alla volontà dell’UE di garantire il più rigorosamente possibile l’applicazione delle regole del mercato interno, la Svizzera oppone il concetto della difesa della sua sovranità.

swissinfo.ch: È impossibile superare queste linee rosse?

J. R.: In Svizzera, in ogni caso, la classe politica lancia slogan, ma non riflette affatto agli obiettivi a lungo termine. Si ripete che l’Unione europea è in pieno cambiamento, diventa sempre più a geometria variabile. E, quindi, si stima che si possa tranquillamente temporeggiare senza rischi, che la Svizzera riesca comunque a conquistare una casella, particolare, nello scacchiere europeo. Si tratta di un errore di calcolo.

Anche se le grandi equazioni politiche cambiano, l’UE sarà sempre creatrice di norme che continuerà ad esportare in tutto il mondo. La volontà di ancorare la Svizzera al mercato interno, anche in campo istituzionale, non verrà modificata.

swissinfo.ch: E allora?

J. R.: Si deve uscire dall’impasse, che è pericolosa, dall’alto. Una negoziazione limitata alle questioni istituzionali non porterà a nulla, date le posizioni trincerate di entrambe le parti. Rischia anche di rimettere in discussione la partecipazione della Svizzera al mercato interno, di cui patirebbe in primo luogo l’economia elvetica. Occorre allargare il dibattito ora.

swissinfo.ch: Come?

J. R.: Rilanciando senza perdere tempo l’idea di un accordo di associazione tra la Svizzera e l’UE, nel quale sarebbero incorporate contemporaneamente una dimensione settoriale e una istituzionale. Si tratterebbe di meglio disciplinare il funzionamento degli accordi bilaterali e integrare maggiormente la Svizzera nel mercato interno. Alcune questioni, quali l’elettricità o l’immissione sul mercato di prodotti chimici (Reach) sono essenziali per Berna. Inoltre, nella logica di un rinnovo delle relazioni bilaterali, si potrebbe stabilire un autentico dialogo politico.

swissinfo.ch: Ma non è ciò che la Svizzera stessa ha proposto, sottolineando il suo desiderio di seguire un “approccio globale e coordinato” nelle sue relazioni con l’UE?

J. R.: Questa è l’unica soluzione ragionevole, in effetti, compreso per l’UE. Ma è necessario che, in questo contesto, la Svizzera dia prova di più flessibilità nel campo istituzionale. Deve demistificare lo spettro dei “giudici stranieri” che minaccerebbero la sua sovranità. Prima o poi, dovrà inevitabilmente riconoscere un certo primato, ancora da definire, del diritto europeo.

Nel dicembre 2010, i Ventisette decretano che la via degli accordi bilaterali settoriali ha “chiaramente raggiunto i suoi limiti”.

Esigono un adattamento “dinamico” degli accordi con gli sviluppi del diritto comunitario, l’applicazione omogenea delle regole del mercato interno (in base alla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’UE), un controllo giudiziario “indipendente” dell’applicazione degli accordi e una soluzione delle controversie.

La Svizzera ha presentato delle proposte nel giugno 2012, demolite dalla Commissione europea e dalla Presidenza cipriota dell’Unione. Le loro posizioni si rifletteranno nelle conclusioni che i Ventisette adotteranno prima di Natale.

Berna condivide gli obiettivi dell’UE. Ma secondo Bruxelles, i mezzi proposti sono inadeguati: la Svizzera si interessa solo agli accordi futuri (in particolare per l’energia elettrica); non limita i casi in cui non sarebbe in grado di riprendere gli sviluppi del diritto comunitario; vuole affidare il monitoraggio degli accordi alle proprie istituzioni (Commissione della concorrenza e Tribunale federale), la cui indipendenza è contestata da Bruxelles.

I Ventisette non sbatteranno la porta in dicembre: anche se le sue proposte “non costituiscono una base per i negoziati”, si dovrà avviare “un’ampia discussione” con Berna, secondo la presidenza cipriota.

Nato nel 1940 a Montreux. Dottore in giurisprudenza presso l’università di Losanna, si è trasferito in Belgio nel 1972.

Partner dello studio legale economico Steptoe & Johnson a Bruxelles, è consulente di diverse multinazionali e banche svizzere.

Dal 1982, presiede il Comitato “Svizzera e l’UE” della Camera di Commercio svizzera in Belgio.

(Traduzione dal francese: Sonia Fenazzi)

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