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In Libano Hariri si è dimesso da premier

Una manifestante con la bandiera del Libano.
Keystone / Wael Hamzeh

l premier libanese Saad Hariri, a capo di un governo formato anche da esponenti degli Hezbollah filo-iraniani, si è dimesso martedì dopo due settimane di proteste popolari senza precedenti e a cui continuano ad aderire quasi tutte le zone di un paese messo in ginocchio dalla perdurante crisi economica.

Le dimissioni di Hariri segnano una svolta politica con forti ripercussioni interne e regionali. Nel vicino Iraq anche un altro primo ministro sostenuto dall’Iran, Adel Abdel Mahdi, rischia di dover lasciare la guida del governo: dall’inizio di ottobre più di 250 manifestanti sono stati uccisi a Baghdad e nel sud del paese dalla repressione delle autorità col sostengo di milizie locali. Il capo del governo iracheno ha finora respinto l’invito alle dimissioni, rivoltogli dal leader sciita Moqtada Sadr, che gode di un ampio consenso popolare ma che guida anche il più numeroso blocco parlamentare. Lo stesso Sadr oggi si è unito ai manifestanti nella città santa sciita di Najaf, a sud di Baghdad.

E mentre il vicino Iran ha invitato i pellegrini diretti ai luoghi santi sciiti iracheni a rimandare i loro viaggi, la tensione rimane alta in tutte le città del sud del paese, dominato dalle milizie sciite filo-iraniane. Queste secondo diversi testimoni sono implicate nella sanguinosa repressione delle proteste popolari. 

Molte vittime

Fonti mediche e attivisti per i diritti umani riferiscono di più di 250 manifestanti uccisi dall’inizio di ottobre. A questi si aggiungono i circa 20 uccisi nella notte nell’altra città santa sciita, Karbala. Molte delle vittime sono state raggiunte da colpi di arma da fuoco sparati da non meglio precisati uomini armati col volto coperto. Intanto nella centrale piazza Tahrir a Baghdad la mobilitazione pacifica prosegue. Dopo aver sfidato il coprifuoco la notte scorsa, migliaia di persone, tra cui numerosi studenti universitari, portano avanti il sit-in chiedendo le dimissioni dell’intera classe politica definita “corrotta”.

Hezbollah non ci stanno

In Libano, il movimento sciita armato Hezbollah, che nei giorni scorsi aveva evocato lo spettro del caos e della guerra civile in caso di caduta di governo, martedì ha inviato centinaia di suoi seguaci, armati di spranghe e bastoni, ad assalire i manifestanti nelle due piazze della protesta a Beirut. Scesi dal vicino quartiere di Khandaq Ghamiq e Zoqaq Blatt bande di giovani armati hanno picchiato i manifestanti che da giorni bloccavano la principale via di comunicazione tra i quartieri orientali e occidentali di Beirut. Gli agenti di polizia e i soldati dell’esercito erano schierati a ranghi ridotti e non hanno impedito l’assalto, che ha abbattuto i gazebo e le tende erette nei giorni scorsi, proprio lì dove i manifestanti hanno più volte intonato una versione locale di ‘Bella ciao’.

Il raid è avvenuto solo un’ora prima dell’atteso discorso di Hariri. Il premier è stato laconico nell’ammettere di essere arrivato al capolinea e di non avere altra scelta se non quella di consegnare le dimissioni al capo dello Stato, Michel Aoun. Il presidente della Repubblica, anch’egli nel mirino delle proteste, secondo la costituzione deve ora accettare le dimissioni e avviare le consultazioni per affidare un nuovo incarico. Questo potrebbe ricadere sullo stesso Hariri per un governo tecnico composto da ministri non identificati con l’attuale classe politica. Ma è un’ipotesi difficilmente realizzabile nel breve termine. E che richiede il consenso non solo di Aoun ma del potente alleato Hezbollah. 

Il partito di Dio ha già detto di rifiutare una simile opzione. E potrebbe decidere di arroccarsi, imponendo un premier di fiducia del movimento filo-iraniano. Una soluzione che, secondo osservatori locali, significherebbe alzare il livello dello scontro politico nel paese. Anche perché intanto a Beirut sono scesi in strada stasera anche i seguaci, sunniti, del premier dimissionario Hariri.

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