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Vent’anni di lotta all’indebitamento

I paesi che hanno beneficiato del programma svizzero di riduzione del debito hanno dovuto adottare strategie di lotta contro la povertà, ad esempio investendo nell'educazione Keystone

La Svizzera è stato uno dei primi paesi a lanciare, vent'anni fa, un'iniziativa per ridurre il debito nei paesi del Sud. Un programma coronato da successo e che ha funto da segnale per altri creditori.

Come finanziare degli investimenti per permettere un miglioramento delle condizioni di vita quando la maggior parte delle risorse dello Stato servono per rimborsare gli interessi del debito estero? Da decenni, il problema dell’indebitamento rappresenta uno dei più seri ostacoli allo sviluppo nei paesi del sud.

All’inizio degli anni Novanta, quando la comunità internazionale ha cominciato ad affrontare di petto la questione, una trentina di paesi accumulava per esempio un debito estero sei volte superiore agli introiti annuali delle loro esportazioni.

Nel 1991, in occasione del 700esimo anniversario della Confederazione, la Svizzera è stato uno dei primi paesi ad agire per cercare di ridurre il fardello che pesava sulle spalle di molti Stati, varando un credito di 700 milioni di franchi (di cui 400 destinati alla riduzione del debito e 300 per progetti ambientali).

Fondi di conversione

Il programma di riduzione del debito lanciato dalla Confederazione è stato pionieristico a più di un titolo. ««La Svizzera è stato il primo paese a cancellare il 100% del debito bilaterale, collegando questa misura con l’obbligo per lo Stato debitore di utilizzare parte della somma per progetti di sviluppo», sottolinea Stöckli, esperto di finanza presso l’organizzazione non governativa svizzera Alliance Sud. «L’elemento più creativo è stato proprio questo, ossia il tentativo di indirizzare le somme risparmiate con la cancellazione del debito verso progetti di sviluppo, tramite un cosiddetto fondo di conversione».

Il programma non si limitava però solamente al debito bilaterale (da Stato a Stato), bensì comprendeva anche i debiti commerciali (quelli contratti da un paese nei confronti di certe società) e multilaterali (nei confronti di istituzioni come ad esempio la Banca mondiale).

Jean-Luc Bernasconi, vice responsabile del settore Cooperazione e sviluppo economici della Segreteria di Stato dell’economia, sottolinea un altro punto importante del programma: «L’aspetto più visibile sono stati i fondi di conversione. Va però anche sottolineato che non si è messo l’accento solo sull’alleggerimento del debito, ma si è pensato anche al futuro, cercando di rafforzare le capacità tecniche di questi paesi a gestire dei flussi finanziari, per evitare che si indebitino di nuovo».

Esempio che ha fatto scuola

Vent’anni dopo, il bilancio è positivo. «Certo, già nel 1992 si era coscienti che il contributo svizzero rappresentava solo una goccia nel mare. Comunque il programma ha avuto senz’altro un impatto sulla lotta contro la povertà, confermato anche da analisi esterne. Inoltre ha funto da segnale per altri creditori», spiega Bruno Stöckli.

All’inizio degli anni Novanta, infatti, molti paesi creditori, nonché la Banca Mondiale e il Fondo monetario internazionale, non erano per nulla convinti che ridurre massicciamente il debito, seppur con la contropartita dei fondi di conversione, fosse la strada giusta da seguire. Il timore era che una simile misura costituisse una forma di ‘azzardo morale’, ossia un’incitazione ad indebitarsi nuovamente, tanto prima o poi qualcuno sarebbe intervenuto.

«È stato un progetto molto ben strutturato. Ne hanno potuto beneficiare – a gradi variabili – 36 paesi, che dovevano adempiere a tutta una serie di condizioni, tra cui ad esempio avere un regime politico stabile e dei programmi di riduzione della povertà. Inoltre ha avuto un impatto sulle iniziative multilaterali lanciate in seguito», precisa Jean-Luc Bernasconi.

L’Iniziativa per le nazioni povere pesantemente indebitate (HIPC) promossa congiuntamente nel 1996 dal Fondo monetario internazionale e dalla Banca Mondiale, si è «ispirata in parte all’esperienza svizzera», osserva il responsabile della SECO.

E oggi che questo programma è praticamente giunto a termine (in Sudan e in Togo non è ancora stato concluso), come agisce la Svizzera? «Da un punto di vista strettamente finanziario, non ci sono praticamente più crediti ufficiali nei confronti di questi paesi», spiega Jean-Luc Bernasconi. La Confederazione interviene quindi principalmente attraverso le iniziative internazionali come la già citata HIPC e l’Iniziativa per l’ alleggerimento del debito multilaterale (MDRI, lanciata nel 2006 da Banca Mondiale e FMI) o nel quadro del Club di Parigi.

«Continuiamo a concentrarci anche sui programmi per rafforzare le capacità dei paesi nel gestire i flussi di finanziamento, affinché abbiano tutti gli strumenti in mano per non ricadere nella spirale dell’indebitamento. Sono convinto che sia questa la direzione da seguire – sottolinea Jean-Luc Bernasconi. È inimmaginabile pensare che un paese possa portare avanti delle politiche di crescita senza finanziamenti esterni. Il debito in sé non è nocivo se si hanno le capacità di gestirlo in modo sostenibile».

Diverse organizzazione non governative militano da anni per la cancellazione pura e semplice dei debiti dei paesi del sud, sottolineando che questi sono già stati pagati, poiché i costi del servizio del debito sono ormai ben più elevati di quello che era il debito originale. Questa soluzione comporta però il problema che non sempre i mezzi finanziari così liberati vengono utilizzati per favorire lo sviluppo.

Un altro gruppo di ONG chiede invece che vengano cancellati i cosiddetti debiti illegittimi, ad esempio quelli concessi a dittatori per finanziare i loro apparati repressivi.

Infine altre ONG sottolineano l’importanza di esaminare non solo la parte del debito che deve essere cancellata, ma anche a quali condizioni. Dal loro punto di vista, questa cancellazione non deve sottostare a condizioni di politica economica, come ad esempio la liberalizzazione dei mercati o le privatizzazioni. Gli Stati creditori, inoltre, non devono sottrarsi alla responsabilità di fare in modo che ad approfittare della riduzione del debito sia la popolazione. Ciò vale ad esempio per la restituzione dei soldi dei potentati depositati nelle banche svizzere, spiega Bruno Stöckli di Alliance Sud.

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